Steve Jobs: trama del film, trailer e recensione – Chi di noi non ricorda il discorso tenuto da Steve Jobs ai neolaureati di Stanford? Era il 12 giugno 2005, eppure anche i più giovani lo conoscono perché spopolò quasi come un epitaffio al momento della sua morte ed è diventato un mantra per le nuove generazioni. In quell’occasione Jobs parlò molto di sé «unendo i puntini e guardandosi alle spalle». Il film che porta il suo nome, per la regia di Danny Boyle, si prefigge di far vedere cosa ci fosse dietro quell’immagine pubblica, o meglio chi, unendo quei puntini cinematograficamente parlando. A firmare la sceneggiatura di “Steve Jobs” è lo stesso autore di “The Social Network”, Aaron Sorkin, che qui mostra ancora una volta maestria nella stesura dei dialoghi a partire da quelli tra il creatore del Macintosh e il suo braccio destro Joanna Hoffman, a cui dà volto e corpo una straordinaria Kate Winslet (già premiata col Golden Globe come Migliore Attrice e fresca di Candidatura all’Oscar). Inizialmente l’attrice è quasi irriconoscibile, merito certo anche del trucco e parrucco, oltre che delle inquadrature ben studiate. Quest’artista continua a dimostrare quanto sappia mettersi in gioco e dà sfoggio del suo trasformismo mettendosi completamente a servizio della storia e del personaggio. Dal canto suo Michael Fassbender (anche lui candidato Oscar come Miglior Attore Protagonista) si mimetizza in Jobs, indossando in principio un’ideale corazza che sarà scalfita dai duelli soprattutto con chi ama.
Tanti tra coloro che adesso usano il Mac, magari l’anno del lancio, il 1984, non erano ancora nati eppure quell’uomo aveva previsto il futuro e ha saputo creare una campagna di marketing ineccepibile, reggendo e sfidando la concorrenza e forse ancor più se stesso. Tutto ciò lo si percepisce sin dai primi fotogrammi captando anche una delle caratteristiche ben studiate da Jobs: non voleva che gli utenti potessero aprire quella “scatola” informatica. Lo sceneggiatore prima e il regista dopo, avvalendosi di un curato apparato scenico, rendono il passare del tempo in particolare attraverso i backstage che precedono i lanci di Macintosh, NeXTcube e iMac. Vediamo Jobs fare i conti con l’“imprevisto” di una figlia piccola e quasi un attimo dopo ci appare già adolescente. La Hoffman, dal canto suo, gli fa spesso da cuscinetto o si ritrova ad essere un pungiball anche tra i silenzi. In “Steve Jobs” si vede come si possa essere dei geni creativi e, parallelamente, sbagliare come umani a partire proprio dai rapporti. «È un personaggio di proporzioni shakespeariane. È ipnotizzante, violento e divertente», lo definisce così il regista di “The Millionaire” (2008). Effettivamente Fassbender non è nuovo a interpretazioni in cui riesce a far suo il personaggio, basti pensare a “Shame” di Steve McQueen che gli valse la Coppa Volpi nel 2011 a Venezia. Qui, grazie al supporto della Winslet, ci fa capire come si possa “manipolare” chi ci gravita attorno, lei è sulla sua orbita, vive nel suo riflesso, ma ci sono alcuni che non ci stanno tanto da entrare in conflitto con loro. Lo sviluppo drammaturgico fa emergere molto bene la contrapposizione tra l’andare come un treno lungo la propria strada commettendo anche delle scorrettezze e il senso del lavoro in team (vedi, ad esempio, i botta e risposta con Steve Wozniak, un bravissimo Seth Rogen). Cosa significa uscire dal tracciato delineato da Jobs? Bisogna vedere il film per comprenderlo, sappiate solo che è l’altra faccia della medaglia di un uomo che è diventato un simbolo, ma pieno anche di tante fragilità.
Ci teniamo a precisare che non si tratta di un biopic per quanto i fatti e le persone siano esistenti. Sorkin ha descritto il lungometraggio come «un ritratto impressionista» perché ha preso spunto dalla realtà per mixarla a suo modo scandendola con i tre lanci fondamentali nel percorso di ascesa di Jobs. Tempo fa su queste pagine si era parlato di Adriano Olivetti definendolo lo «Steve Jobs che sfidò gli americani» e davvero quell’uomo fu brillante nelle sue audaci imprese. Noi oggi tendiamo a guardare oltre i confini italiani e Jobs è diventato un modello per molti ragazzi non solo per ciò che ha inventato, ma anche per come si poneva pubblicamente. «Il Mac avrebbe salvato il mondo», si sente a un tratto in “Steve Jobs” e forse vi apparirà esagerato, eppure, cari lettori, se pensate al nostro modo di comunicare è proprio così. Il paradosso è che a crearlo è stata una persona che forse sapeva parlare più coi software che nelle relazioni interpersonali. A suo modo ha rincorso un’utopia e forse non è un caso che a quei neolaureati di Stanford abbia chiuso con l’augurio «Siate affamati. Siate folli». Ed ecco in sintesi la trama: il tutto si svolge principalmente nel backstage prima dei lanci fondamentali dei tre prodotti più rappresentativi del percorso di Steve Jobs. Si vede il dietro le quinte della creazione informatica, ma anche il lato più intimo di un uomo geniale. Di seguito il trailer.