Storie pazzesche è un godibile mash-up in sei episodi che racconta con toni tragicomici il collasso della società contemporanea. Trama e recensione del film presentato da Pedro Almodóvar e diretto da Damián Szifron.
Il cinema argentino è vivo e vegeto. Dal 1985 guarda da vicino alle commedie nostrane che si beffano dell’uomo medio ed “Esperando la Carroza” di Alejandro Doria rappresenta bene l’ideal prototipo di satira grottesca a cui strizza l’occhio il ben più eccessivo “Storie pazzesche”. Il film di Damián Szifron nelle sale italiane dall’11 dicembre, co produzione argentino spagnola che si fregia del nome di Pedro Almodóvar, ha una struttura episodica che ricorda, stilisticamente e a livello di contenuti, la tradizione affabulatrice del Decameron, grazie alle sfumature caustiche di una satira pungente che ambisce a capovolgere la società costituita. L’irruzione dell’elemento licenzioso e di sketch erotici fa poi pensare alla Fabula milesia, la prima raccolta di novelle pervenutaci attraverso i Tristia ovidiani. Frullando insieme spunti da gangster movie, intermezzi gore di beffarda ferocia, siparietti slapstick intrisi nel sangue, matrimoni e ben più di un funerale, il regista guarda tanto alla violenza grafica tarantiniana, quanto ai dolceamari spaccati sociali di Risi e Monicelli, confezionando un gustosissimo piatto a sei portate.
La prima racconta di una tremenda vendetta ad alta quota organizzata da un pericoloso sociopatico preso a schiaffi dal mondo. Al folgorante episodio prologo succedono altri cinque intrecci irriverenti e sarcastici che prendono di mira le istituzioni e l’imbarbarimento dei costumi civili: un criminale arrogante e senza scrupoli capita nel fast food di una donna in cerca di rivalsa; due automobilisti di diversa estrazione sociale si incrociano lungo strade desolate e iniziano un duello all’arma bianca con tragiche conseguenze; un ingegnere stufo di dover pagare continuamente multe e carro attrezzi, architetta un piano estremo che si beffa delle leggi sindacaliste; dopo un tremendo incidente in cui perde la vita una donna incinta, un influente personaggio cerca di difendere il figlio, reo non confesso, ma scatena una guerra fra squali; lo sfarzoso matrimonio di una coppia all’apparenza felice diventa un cruento campo di battaglia. Come in “Four Rooms” della rodata coppia Tarantino-Rodriguez l’irruzione del comico va di pari passo con una surrealtà demenziale carica di pathos, ma le storie inventate da Szifron non hanno come contesto lo stesso luogo o i medesimi personaggi.
Si rivolgono invece alle diverse classi sociali medio borghesi che infestano la realtà sudamericana: dalla lavoratrice sottopagata e schernita al ricco manager, dall’architetto incivilito al corteo di famelici uomini d’affari senza scrupoli (avvocati, legali e ricchi committenti). Il mosaico polifonico creato dal cineasta argentino è molto attento a svelare i meccanismi consci e inconsci che pulsano nel cuore della rivolta proletaria e borghese e analizza, servendosi di una narrazione tragicomica, ogni possibile via d’uscita, meglio se estrema, ordita per risolvere una difficile situazione che gerarchie potenti o situazioni avverse non rendono facilmente modificabile. Ne esce fuori il resoconto di un conflitto combattuto in trincea (nella casa del ricco signore che, per difendere il figlio, sberleffa ogni etica o morale), lungo corsie solitarie (incontro/scontro tra i due in macchina), nella sfarzosa sala ricevimenti (tra i due coniugi). Tra echi pulp e parodia conviviale, “Storie pazzesche” diverte e fa riflettere, catapultando lo spettatore nel congestionato universo contemporaneo dell’ “homo homini lupus” in cui vince chi ha denti più aguzzi.
Trailer: http://youtu.be/yMelKnwbCQk
Vincenzo Palermo