Suburra, recensione
“Non può piovere per sempre” diceva Eric Draven in The Crow – Il Corvo, ma l’artefice del detto fu Gabriel García Márquez che metteva in bocca ad Aureliano Secondo le parole “non può piovere per tutta la vita”. Nel film di Alex Proyas e nel libro Cent’anni di solitudine, la massima suona come un monito di salvezza riposto in una qualche speranza di rasserenamento. Nella Roma “caput mundi” di Suburra, invece, la pioggia non cessa mai di scendere copiosa e violenta, anzi, si infiltra ovunque fino a far cedere le fondamenta stesse della città eterna. La pioggia come metafora delle organizzazioni criminali alle prese col nuovo Sacco di Roma, ristagnanti fin dentro al Vaticano e Palazzo Chigi e come emblema del lento stillicidio a cui è sottoposta l’istituzione incapace di tappare i “buchi” da cui i criminali erompono procurando rovinose slavine. Non siamo in Sin City – quella era violenza fumettistica tratta da una graphic novel – ma nel luogo reale in cui, rispetto all’immaginaria Città vecchia pullulante di amazzoni e mercenari, vi è l’inferno profetizzato da Giancarlo de Cataldo e Carlo Bonini nel romanzo omonimo Suburra. All’interno di un’opera di cruda e cupissima fiction artigianale, splendidamente fotografata da Paolo Carnera, il secondo lungometraggio del regista e sceneggiatore romano vaticina la debacle istituzionale di governo, papato e capi clan mafiosi mettendo in scena la “seconda caduta” di Roma a opera di una nuova, cruenta invasione barbarica. Roma è abbagliata dalle luci al neon di avamposti lugubri, circondata da ville illuminate a giorno ricolme di escort e litorali sgombri su cui i piccoli boss di Ostia sognano una nuova e fastosa Las Vegas con tanto di casinò e ristorantini sul mare. Il marciume dei quartieri periferici di malaffare contagia tutto ciò che tocca confondendosi persino con i confini dello spazio sacro del Vaticano. Come un incessante proliferare di spore mortifere, le strade sono attraversate da legioni di assassini e figli di un infinito “romanzo criminale” in cui comanda Samurai, il personaggio interpretato da un Claudio Amendola posato e impassibile, ultimo esponente della banda della Magliana e rappresentante di una continuità generazionale che incarna anche lo stesso regista Stefano Sollima, figlio di Sergio, specialista del cinema bis italiano. Roma brucia e trema come e più di quando fu sotto attacco delle streghe punk di Dario Argento (La terza madre) e peggio di quando gli “angeli e i demoni” di Ron Howard si rincorrevano a San Pietro per risolvere i misteri escatologici inventati da Dan Brown. I tratti ipercaricati di scagnozzi e capobanda mantengono quell’enfasi fumettistica che li rende talvolta macchiette tra il grottesco e il kitsch, ma questi sono dettagli, spazzati via dalla forza prorompente di una narrazione dal ritmo incalzante e vertiginoso, scandita come un conto alla rovescia fino all’Apocalisse finale. Quello di Sollima è un cinema iperrealista fiero della propria fattura artigianale in cui il cineasta fa esplodere, sulle immagini barocche e ipercinetiche, l’inverosimile storico racchiuso dentro l’anima da noir vecchio stampo. Se da una parte è difficile mandare giù l’effetto domino di una caduta simultanea di un intero sistema legiferante, governativo e religioso, dall’altra, prendendo per buono tale collasso alla maniera di una distopia gangster, potremmo definire Suburra un grandissimo crime movie urbano in cui i proiettili corrono più veloci (e sono più incisivi) della storia in sé e delle sue conseguenze effettivamente iperboliche e poco credibili. Come nella migliore tradizione del cinema di genere all’italiana, gli attori, in un impianto recitativo corale, stanno al passo coi tempi convulsi di una regia vorticosa, alla ricerca di virtuosismi stilistici – è il caso della sequenza finale in cui si consuma l’ultimo decisivo omicidio sotto una pioggia scrosciante – ma attenta a non perdere mai il filo romanzesco della storia. In un logoro e marcio affresco gangster che ricompone e segue i fili che legano la malavita romana alla corruzione del parlamento, giganteggia Pierfrancesco Favino che dà spessore e lucida incisività al politico corrotto Filippo Malgradi, mentre sul versante delinquenziale vi è una puntuale e ancora profetica rappresentazione del mondo zingaro capeggiato da Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi). Greta Scarano, la bella e dannata tossica Viola in coppia col boss di Ostia Alessandro Borghi, irrobustito e tatuato quanto basta per rendere credibile la sua natura impetuosa, è l’incarnazione stessa della faida tra bande in rotta di collisone; strafatta dall’eroina e inquadrata spesso di tre quarti o appena rischiarata da un sottile gioco di luci e ombre, è insieme fragile e aggressiva. Tra i due microcosmi in continua osmosi dei vertici politici e della malavita organizzata, sta Elio Germano, l’indolente Pr Sebastiano che si trova a scontrarsi con la gang gitana per un affare losco in cui è implicata anche la bellissima escort Sabrina (Giulia Elettra Gorietti). Lungo l’arco temporale di una sola settimana a partire dal 5 novembre del 2011, Suburra è la ricostruzione di un’epica escalation di violenza che non ammette alcuna redenzione e non concede a nessuno spiragli di salvezza, ma solo rivincite, anche queste però bagnate nel sangue che si mischia alla pioggia di una notte senza fine. L’Apocalisse è alle porte, anzi no, forse è più giusto parlare di Maelström capitolino, potente gorgo omicida pronto a risucchiare le vestigia di una Roma da Basso Impero. Voto: [usr 4]
Suburra, trama
La caduta di Roma raccontata attraverso gli avvenimenti epocali di un collasso politico sorretto da un’alleanza fatale tra criminalità e potere. Il 5 novembre 2011 è l’inizio di tutto: il Water-front, enorme speculazione edilizia portata avanti, tra voti comprati in Parlamento e alleanze con la malavita, dal politico Filippo Malgradi (Pierfrancesco Favino), coinvolge pericolose gang del sottobosco romano. Al fine di realizzare una Las Vegas in miniatura sul litorale di Ostia battibeccano, lottano e conducono patti e alleanze Numero 8 (Alessandro Borghi), il boss di Ostia, Samurai (Claudio Amendola) ultimo esponente della banda della Magliana. Tra i pericolosi giochi di potere si trovano invischiati il Pr senza scrupoli Sebastiano (Elio Germano), una seducente escort sua amica (Giulia Elettra Gorietti), Viola, la ragazza di Numero 8 (Greta Scarano) e una famiglia di zingari di Roma dedita al malaffare.