La recensione dello spettacolo La parola canta di e con Peppe e Toni Servillo e con i Solis String Quartet. Visto al Piccolo Teatro di Milano dov’è stato in scena dal 14 al 19 aprile 2015. La tournée riprenderà in Italia e all’estero nel 2016.
In un’epoca in cui le parole strabordano in ogni campo fino a usurarsi, diventando spesso fuori luogo, sempre più si rinnova l’idea che il teatro sia la casa in cui esse possono riacquistare autenticità. Assistendo a La parola canta di e con Peppe e Toni Servillo, insieme ai Solis String Quartet, la prima reazione che si ha è di religioso silenzio per far spazio a quella parola che solo loro, in quell’hic et nunc della rappresentazione, possono proferire, abitare, cantare ed è in questa liturgia teatrale che anche le stesse pause e le note diventano parola.
Rannicchiandosi idealmente nella poltrona di turno, quasi come dei bambini, gli spettatori iniziano così a far un viaggio immaginario tra gli umori, gli odori e i profumi di Napoli. Come ben scrive il protagonista de “Il Divo” di Paolo Sorrentino nelle note: «Là dove il teatro talvolta non riesce, la musica ricapitola la nostra esistenza e ci consente di immaginarne un’altra in un luogo che non c’è, totalmente astratto, che non esiste, che non si vede. In questo non luogo nasce La parola canta». Con uno sfondo dalla particolare sfumatura azzurra, sulle tavole del palcoscenico del Teatro Strehler di Milano si stagliano i contorni e le ombre delle figure degli artisti, i quali pian piano vengono definiti dal disegno luci di Francesco Adinolfi e dalle stesse opere che portano in scena. Ma l’ouverture non è assolutamente accomodante, anzi, è un dolce schiaffo fatto di parole che evocano scene di vita quotidiana, archetipi e proiezioni sulla città partenopea. Il merito va a Mimmo Borrelli per aver scritto un testo, “Napule”, in cui emerge il dna di una città spesso conosciuta per le sue contraddizioni, puntando ed esaltando – a suo modo – il dialetto napoletano. A completare l’operazione ci pensa, in scena, Toni Servillo che sin da quando apre bocca immerge la platea nei suoni di questa lingua, li mastica, sottolinea e cavalca quei fonemi ricorrenti per creare figure di suono che danno la sensazione che la parola possa cantare, ricordandoci com’era concepito inizialmente il componimento poetico. Questo però è solo l’inizio, eppure istintivamente si pensa: “può già finire qui”, ma appena si ascolta il prossimo brano – strumentale, verbale o canoro – il desiderio che non finisca mai cresce parallelamente. Si passa dalla composizione originale di Fabio Vacchi – “Movimento di tarantella” dal “Quartetto n°4” – alla famosa “Canzone appassiunata” di E. A. Mario (1922) e anche a un brano scritto dallo stesso Peppe Servillo (conosciuto come il cantante degli Avion Travel) con Mario Tronco (“Sogno biondo”) – solo per citarne alcuni. E il fratello Toni, dal canto suo, ha optato per testi che vanno dai più grandi autori italiani del Novecento (da Eduardo De Filippo con “Vincenzo De Pretore” a Raffaele Viviani, Libero Bovio, Rodolfo Favo, Nicola Valente) ai contemporanei (Mimmo Borrelli, Enzo Moscato, Michele Sovente).
La parola, che sia sottoforma di verbo, nota cantata o musicata, diventa emblema della carne e del sangue di Napoli. Ci si commuove, diverte e inevitabilmente qualche parte del nostro corpo si ritrova ad andare a suon di parola. Forse vi sembrerà assurdo come pensiero, ma partecipando a questo spettacolo capirete: tutto l’ensemble dei testi scelti e il modo di abitarli e restituirli tocca tutti i sensi, persino l’olfatto. Non si vuole strizzare l’occhio al pubblico, ma affondare la lama della lingua e delle corde degli strumenti – straordinari i musicisti Vincenzo Di Donna, Luigi De Maio, Gerardo Morrone e Antonio Di Francia – nell’anima di una città che corre sempre sul limite del paradosso, profondamente umana, viscerale ed è proprio quest’essenza che La parola canta tira fuori.
È nota ai più la straordinaria capacità interpretativa di Toni Servillo, ma qui, dopo “Le voci di dentro”, si rinnova questo connubio con il fratello avvalendosi di un quartetto (due violini, viola e violoncello) che fa venire la pelle d’oca. Ci teniamo a sottolineare che tutti loro costituiscono un’eccellenza a servizio di una cultura e di una tradizione che, nel profondo, non si è mai spenta e che ancor più grazie a questi autori e a questi artisti continua a vivere e rinnovarsi arrivando a toccare le corde anche di chi non conosce i termini napoletani. Una delle caratteristiche di questo dialetto, unitamente al lirismo, sta proprio nell’andare oltre, si comprende anche quando si perde per strada una parola… è questa la magia di quando La parola canta.
Voto: [usr 4.5]
“La parola canta”
di e con Peppe e Toni Servillo
Con i Solis String Quartet: Vincenzo Di Donna (violino), Luigi De Maio (violino), Gerardo Morrone (viola), Antonio Di Francia (violoncello); Una produzione Teatri Uniti in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa
Si ringrazia l’ufficio stampa del Piccolo Teatro, nella persona di Valentina Cravino
Maria Lucia Tangorra