Tullio De Piscopo è nato a Napoli il 24 febbraio 1946. Non ha certo bisogno di eccessive presentazioni, essendo uno dei batteristi e musicisti più famosi al mondo. Quasi da subito, ha collaborato con i più grandi nomi del jazz italiano prima e americano poi, da questi ricercato per il suo stile particolare e inconfondibile. Carismatico come lo sanno essere le grandi personalità che non perdono contatto con la terra, si è raccontato nel libro “Tempo! La mia vita” con la stessa semplicità con cui si pone verso il prossimo. Lo abbiamo incontrato nella libreria IBS di Roma, in via Nazionale, in occasione della presentazione del suo libro, e ci ha concesso questa intervista accogliendoci calorosamente, con grande disponibilità.
Grazie innanzitutto, Maestro, per aver concesso questa intervista al nostro giornale! Come nasce l’esigenza di raccontarsi in questo libro?
Ma figurati, è un piacere. L’esigenza è nata dalla prova dura che ho affrontato, che è la vita stessa, e dalla malattia che ho tenuto nascosta per troppo tempo, in grande silenzio. Poi, a un certo punto non ce la facevo più! Tenermi tutto dentro, ma perché? Pensavo alle persone che conoscevo, ai giornalisti, ai miei fans, e ho voluto scrivere, gridare! Questo libro è un grido di verità, attraverso le sue pagine! A dire il vero era già in progetto prima ancora di scoprire il male che mi ha colpito, spinto dall’entusiasmo dei miei fans, che mi chiedevano di scrivere la mia storia di cinquanta anni di musica. Ho approfittato per raccontare, fin dal 1943, prima ancora che nascessi, la mia vita, la mia storia, anche attraverso i cinquanta anni dell’Italia che si trovano in questo libro.
Leggendolo ho avuto la sensazione, mi dica Lei se è giusta o no, che De Piscopo, anche dopo aver raggiunto il successo, la fama, dopo aver conosciuto le più grandi personalità musicali ed essere stato chiamato da queste per tante collaborazioni, tanti lavori, sia rimasto un eterno scugnizzo. Lei stesso si definisce così nelle pagine. Mi sembra una sorta di Alice nel Paese delle meraviglie, felice e stupito di trovarsi in un mondo sognato sin da piccolo. E’ così?
Sì! Hai proprio ragione! Sono rimasto sempre coi piedi ben saldi per terra. Molto lo devo anche all’aiuto dei giovani, dei tantissimi allievi che ho avuto nelle scuole che non ho mai abbandonato, nemmeno quando stavo nei primi posti delle hit–parade mondiali. Io odio lo show business, odio i riflettori, odio il clientelismo. Mi piace stare con la gente semplice. I miei più grandi amici, quelli con cui mi fermo volentieri a parlare, sono le persone comuni, gli operai, i custodi nei palazzi, la gente vera.
Umiltà quindi. E la fortuna, la perseveranza, cosa è più importante nella carriera di un artista?
La perseveranza sicuramente, ma la fortuna te la devi cercare! Avere la fortuna, ma anche la scaltrezza di trovarsi nel punto giusto al momento giusto. Non sottovalutare mai le cose piccole, perché spesso ci accorgeremo che quelle erano le più importanti, capisci?
Tullio, sfogliando il Suo libro sono rimasto sorpreso dagli innumerevoli nomi di grandi jazzisti con cui ha lavorato, dai suoi viaggi, le sue esperienze dagli inizi fino al successo massimo. Penso che dal punto di vista professionale lei non possa avere rimpianti. Oppure, le chiedo, questa vita frenetica, da nomade, le ha tolto qualcosa a livello strettamente personale? Rifarebbe tutto da capo?
Rifarei tutto, togliendo le stupidaggini, l’importanza e il tempo dedicato alle cose inutili, che lo hanno sottratto alla mia famiglia. Quindi ti rispondo sì, mi ha tolto qualcosa, eccome! La prima cosa da eliminare è la capacità, anche inconsapevole, di fare del male agli altri. Bisogna fare del bene, fare del bene non fa mai male!
Prima di incontrarci, pensavo alla sua napoletanità mai rinnegata, mai tradita. Pensavo che c’è stata un’epoca d’oro nella cultura napoletana (musicale e non solo), e mi riferisco a Lei, a Tony Esposito, alla Smorfia di Troisi, De Sio, Bennato, Peppe Barra, Pino Daniele, solo per citarne alcuni. Tutto un filone che si è espresso in un arco temporale ben preciso. E’ un’epoca finita o c’è speranza di rinverdirne i fasti?
Secondo me, è irripetibile. Quello è stato il momento giusto, gli anni giusti…la Naple’s Power, così la chiamavano. Qualcosa si è ripetuto nel dicembre scorso, nei cinque concerti che abbiamo fatto al Palapartenope per lo spettacolo di Pino Daniele “Tutta n’ata storia”, con tutti questi artisti che hai nominato prima, compresi Napoli Centrale e James Senese.
Voglio provocarla un po’. Lei così fortemente uomo del Sud, ha trovato la consacrazione in quella città, Milano, alla quale all’inizio del libro, si rivolge dicendole: mi devi qualcosa! Ma bisogna per forza emigrare per avere successo?
Sì, assolutamente! Non puoi rimanere dove trovi lo spaghetto facile, la mammà. Devi soffrire un po’, è inevitabile. Io ho sofferto molto la lontananza da Napoli, come hai potuto leggere. Addirittura ho sofferto gli odori, i sapori, dei vicoli di Napoli, come ho raccontato nel libro. Qualcosa devi cedere. Certamente, se nascevo a Milano o a New York… era n’ata cosa (ride, ndr). Ma io avevo nella testa il jazz e in quegli anni non c’era il jazz a Napoli, quindi ho dovuto cercarlo a Roma, a Bologna, a Milano. Ho avuto forse la fortuna di incontrare e suonare subito coi grandi del jazz come Renato Sellani, Franco Cerri, Gianni Basso, Oscar Valdambrini e arrivare poi a lavorare coi grandi jazzisti d’oltreoceano. Ma non vengono a casa tua.
Ha iniziato e terminato il suo libro parlando del tumore da cui è riuscito a guarire. La malattia le ha fatto capire qualcosa di più della vita?
Sì certo… con la malattia sono riuscito a vedere tante cose, ho fatto dei piccoli “viaggi” (si fa assorto, ndr), soprattutto ho visto un bel cavallo bianco con gli occhi verdi, con la criniera gigantesca che ondeggiava nell’aria, che mi invitava a salire in groppa, mi sfidava (l’esperienza onirica narrata nel libro, ndr)… ho capito tanti errori commessi, ma soprattutto ho capito di dover dare amore, perché noi qui siamo di passaggio. Non dobbiamo essere avidi, dobbiamo dare amore, aiutare i più bisognosi e soprattutto i bambini. E poi fammi dire un’altra cosa: dobbiamo pregare, la preghiera è importante. Credere…la Fede, in qualsiasi forma essa sia, è credere e non aver paura!
Parafrasando il titolo del suo libro (Tempo! La mia vita), per Tullio De Piscopo, oggi è tempo di…?
E’ tempo di amare, è tempo di sorridere, che non costa niente. Pensateci, ci sono tirchi talmente tirchi che non ti regalano nemmeno un sorriso, che è gratis. Regalare un sorriso agli altri è la cosa più giusta che possiamo fare per noi stessi!
Paolo Leone