L’Italia e il welfare aziendale: un binomio che stenta a decollare. L’Italia si colloca per flessibilità del lavoro aziendale, con un 49 per cento, dietro la Finlandia (83 per cento), che è al primo posto in Europa, il Regno Unito e la Danimarca (70 per cento), la Germania (58 per cento), la Spagna (55 per cento) e la Francia (51 per cento). Peggio di noi il Portogallo con il 48 per cento e la Grecia con il 34 per cento. Questi sono i risultati di un’indagine realizzata dal Censis e dall’Unipol, nell’ambito del progetto progetto “Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali”.
La ricerca mostra inoltre che in Italia i lavoratori part-time sono 3,5 milioni, pari al 17 per cento del totale. Nel nostro Paese anche la diffusione del part-time è inferiore alla media europea (20 per cento) e lontana dalle percentuali di Germania (26,7 per cento), Gran Bretagna (27,2 per cento), Svizzera (35,9 per cento), Olanda (49,8 per cento). Le donne italiane in part-time sono il 31,1 per cento delle lavoratrici rispetto a una media europea del 32,6 per cento e percentuali che arrivano al 43,3 per cento in Gran Bretagna, 45,6 per cento in Germania, 60,9 per cento in Svizzera, 77 per cento in Olanda. Anche il telelavoro è scarsamente diffuso: riguarda il 3 per cento degli occupati italiani maschi e il 5 per cento delle donne, valori tra i più bassi in Europa. Considerando i lavoratori maschi, soltanto la Turchia presenta una percentuale inferiore a quella dell’Italia (2,3 per cento). I valori sono superiori in Germania (7,4 per cento), Spagna (8,4 per cento), Francia (9,9 per cento) e Gran Bretagna (11,8 per cento). E il nostro Paese rimane agli ultimi posti anche per quanto riguarda la diffusione del telelavoro tra le donne, lontano da Francia (7,3 per cento), Germania (7,6 per cento), Svezia (8,2 per cento), Spagna (9,5 per cento) e Olanda (9,7 per cento).
Il welfare aziendale assume diverse forme che vanno dagli strumenti di conciliazione lavoro-famiglia alle forme di sostegno per le lavoratrici in maternità, dall’assicurazione medica integrativa finanziata dall’azienda ai molti servizi time-saving per una migliore qualità della vita dei lavoratori. Il Censis e l’Unipol – partendo dall’esperienza di alcune aziende, come la Tetra Pak di Modena, l’Elica di Fabriano, la Sas a Milano o ancora strutture più piccole ma molto dinamiche come Zeta Service, sempre nel capoluogo lombardo – mostrano che gli strumenti di welfare aziendale possono aiutare molte famiglie, migliorare la qualità della vita di lavoratori e lavoratrici, contribuire a maggiori livelli di occupazione. Inoltre, dall’indagine, si evince che i lavoratori sono più motivati sul lavoro.
Particolarmente apprezzata dai lavoratori, secondo le esperienze analizzate nello studio, è proprio la vasta gamma di servizi e aiuti che nell’ambito del welfare aziendale permettono l’accudimento dei figli o di un’altra persona che necessita di cure. Il Censis stima in più di 5 milioni le famiglie in cui è presente un adulto o un bambino in età prescolare o scolare da accudire. Per quasi 450mila famiglie uno dei componenti, quasi sempre una donna, ha però dovuto ridurre il proprio orario di lavoro per prendersi cura dei figli e 350mila persone hanno rinunciato, per lo stesso motivo, a cercare lavoro. «La sfida oggi è quella di potenziare gli incentivi pubblici che spingano le aziende ad adottare pratiche innovative nel campo del welfare dei lavoratori, allargando i confini del welfare aziendale dall’attuale numero limitato di imprese di medio-grandi dimensioni al vasto tessuto della piccola impresa», affermano Unipol e Censis.