Circa 93 milioni di bambini presentano una forma di disabilità moderata o grave. Bambini che nei paesi in via di sviluppo sono ancora più trascurati e vulnerabili. A rendere noti questi dati è l’Unicef, che ha appena presentato l’ultimo rapporto dal titolo “La condizione dell’infanzia nel mondo 2013 – Bambini e disabilità”. «Secondo la stima più diffusa – spiega il presidente di Unicef Italia, Giacomo Guerrera – circa 93 milioni di bambini, 1 su 20 di quelli al di sotto dei 14 anni, convivono con una disabilità moderata o grave. Nei Paesi in via di sviluppo i bambini con disabilità sono gli ultimi tra gli ultimi, i più trascurati e vulnerabili. Si stima che circa 165 milioni di bambini sotto i cinque anni abbiano un ritardo nella crescita o siano cronicamente malnutriti, vale a dire circa il 28% dei bambini sotto i cinque anni nei Paesi a basso e medio reddito. Le conseguenze della malnutrizione cronica li rendono a rischio di disabilità; le carenze cognitive e lo scarso rendimento scolastico iniziano quando i bambini malnutriti sono molto piccoli e diventano irreversibili quando superano i due anni». Una situazione allarmante, soprattutto se si considera che tra i 250.000 e i 500.000 bambini risultano essere a rischio di cecità per mancanza di vitamina A, che costa solo pochi centesimi. A tutto ciò si aggiunge il pericolo di mine: «Ogni anno i bambini – riprende il presidente – rappresentano circa il 20-30% di tutte le vittime di mine terrestri e residuati bellici esplosivi. Dal 1999 sono state registrate almeno 1.000 vittime minorenni ogni anno».
Ma come poter intervenire per aiutare tutti questi bambini? Una domanda alla quale, ovviamente, non è facile rispondere, anche se un punto di partenza potrebbe essere quello di concentrarci «su ciò che possono realizzare, anziché su ciò che non possono fare. Non possiamo sognare un Paese in cui ci sia giustizia sociale e inclusione – conclude Guerrera – se non garantiamo alle persone con disabilità, soprattutto bambini e adolescenti, la possibilità di esercitare pienamente i loro diritti». «Quando si vede la disabilità prima di vedere il bambino – aggiunge il direttore generale dell’Unicef Anthony Lake in occasione del lancio del Rapporto in Vietnam – non è un danno solo lui, ma si sottrae alla società tutto ciò che il bambino può offrire. La sua perdita è una perdita per la società; la sua vittoria è una vittoria per la società». Questo, quindi, un punto su cui bisogna iniziare a riflettere. Stando a quanto emerge dal Rapporto, sembra essere dimostrato il teorema secondo cui includere i bambini con disabilità e permettere che svolgano un ruolo attivo nella società porterebbe a benefici per l’intera comunità. Parola d’ordine, quindi, “integrazione”, per combattere l’esclusione che si manifesta sin dalla nascita, tanto che molti bambini con disabilità non vengono neppure registrati. Un mancato riconoscimento ufficiale che determinerà l’esclusione di questi neonati dai servizi sociali e dalla protezione legale, elementi cruciali per la loro sopravvivenza e le loro prospettive. «Perché i bambini con disabilità contino – riprende Lake – devono essere contati: alla nascita, a scuola e nella vita».
Una situazione che si fatica tutt’oggi a inquadrare al meglio, tanto che i numeri raccolti all’interno del Rapporto riportano le uniche stime globali disponibili a livello internazionale, ma che fanno riferimenti a dati disomogenei. Pochi, infatti, i dati affidabili sul numero di bambini con disabilità, su quali siano le disabilità più diffuse e su come le disabilità abbiano avuto impatto sulle loro vite. Questo anche perché sono altrettanto pochi i governi che hanno adottato piani per allocare risorse al supporto e all’assistenza dei bambini con disabilità e alle loro famiglie e che hanno preso in carico questo problema. Sono circa un terzo dei Paesi del mondo quelli che non hanno ancora ratificato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Una ratifica che il Rapporto intende sollecitare.
I commenti – «Il rapporto – commenta il presidente del Consiglio Enrico Letta – sottolinea la gravissima situazione dei bambini disabili nei paesi in via di sviluppo, per via dei problemi sanitari e del circuito vizioso di esclusione che si crea tra disabilità e povertà. Un circuito in cui l’ignoranza gioca spesso un ruolo perverso». E poi ancora «In Italia l’impegno per l’inclusione dei più deboli deve essere coerente e di lunga lena, perché non lasciarli indietro è un interesse che riguarda anzitutto la loro dignità ma coinvolge, allo stesso tempo, il bene di tutto il Paese. Auspico – prosegue – che la scuola, fin dalla prima infanzia, possa essere lo spazio in cui la disabilità si faccia inclusione e creazione di opportunità per tutti, per un’Italia che sia veramente “amica di tutti i bambini”». «Quelli relativi ai minori e alle persone con disabilità – spiega anche il ministro degli Esteri Emma Bonino – sono settori in cui l’Italia può vantare buone pratiche e approcci innovativi a livello normativo e organizzativo, delle quali la Farnesina ha tenuto conto nell’attuazione di programmi di cooperazione allo sviluppo molto apprezzati a livello internazionale. A riprova della grande rilevanza attribuita a tali tematiche, il Ministero degli Affari Esteri ha recentemente istituito un tavolo di lavoro con la Rete Italiana Disabilità e Sviluppo (RIDS) per la redazione di un Piano di Azione pluriennale. Con questo documento intendiamo assicurare il mainstreaming delle questioni legate alla disabilità e sviluppare azioni concrete, al fine di contribuire all’inclusione sociale e assicurare nel lungo termine una strategia innovativa e in linea con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata anche dall’Italia».