Recensione – «Giurate di essere uno per tutti, tutti per uno?». Questa frase l’avrete sentita e risentita e chissà anche pronunciata, per gioco, quando eravate piccoli. Come un leitmotiv torna in Uno per tutti, film di Mimmo Calopresti, in sala dal 26 novembre con Microcinema. È un ritornello che “martella”, anche come immagine, anche quando il pubblico cerca di ricollegare le fila e tutti i tasselli dei salti temporali. Nei giorni nostri vediamo Teo (Lorenzo Barone) ridurre in fin di vita un altro coetaneo, mentre è in gruppo a bere e far bravate. Non si comprende quanto effettivamente sia stato voluto o un atto repentino del momento, la scena è ben girata anche per la cura fotografica (Stefano Falivene) in cui i colori della notte e del noir prendono sempre più piede. Sarà questo il fatto scatenante che porterà i tre amici di infanzia a reincontrarsi. Vinz (Giorgio Panariello) è, infatti, il commissario di polizia che si occupa del caso e quando scopre che il ragazzo è figlio di Gil (Fabrizio Ferracane), uno dei suoi più cari amici, con cui, però, ha tagliato i ponti, cerca a suo modo di proteggerlo e, al contempo, far giustizia. Il terzetto si completa con Saro (Thomas Trabacchi), il quale sceglie di salire a Trieste per acquietare gli animi e mediare tra i due fuochi. Vinz e Gil potrebbero rappresentare due facce della stessa medaglia, due modi di vivere la vita che un tempo viaggiavano sulla stessa lunghezza d’onda, poi, però, per qualcosa che si chiarisce soltanto alla fine, quell’uno per tutti, tutti per uno si è spezzato e uno sembra che abbia pagato per tutti.
Un personaggio che incide sottilmente negli equilibri (fragili) e che ha avuto un ruolo anche nella loro infanzia è Eloisa (un’Isabella Ferrari con un accento triestino poco plausibile). La donna appare, all’inizio, poco incline a farsi delle domande, quasi passiva nella gabbia dorata e molto legata a suo figlio. Uno per tutti fa vedere molto palesemente quanto sia difficile ammettere le influenze negative che i genitori e certi giri possono avere sui figli. Per Gil varrebbe la legge del dio denaro e ha una strana idea di protezione, ma questo sistema non vale più per i suoi amici di giochi, quel castello si è sgretolato e probabilmente sta accadendo anche per la sua vita. Come ha fatto spesso nella sua filmografia, il regista calabrese continua a raccontare storie e vite di personaggi decadenti, spesso rancorosi verso l’altro e con conti in sospeso, in cui emergono le differenze di caratteri e di condizioni sociali (basti pensare a “Preferisco il rumore del mare” del 1999). Per quest’ultimo lavoro, ispirandosi liberamente al romanzo omonimo di Gaetano Savatteri (la sceneggiatura è stata scritta a quattro mani con Monica Zapelli), ci duole dirlo, nonostante le buone intenzioni, dal punto di vista narrativo, la frammentarietà e il poco spessore di scrittura non riescono a fornire una base solida anche ad attori bravi come Ferracane e Trabacchi, i quali cercano di fare il loro, ma pagano lo scotto di personaggi abbozzati e poco sfaccettati. Panariello, dal canto suo, tenta di rendere realisticamente quel male di vivere che prova sia come poliziotto che nell’ambito privato.
Post visione la sensazione che Uno per tutti pecchi di credibilità è prevalente. Sicuramente sul risultato finale ha inficiato il budget ridotto, che ha costretto Calopresti a rivedere le sue idee iniziali. «Tutta la parte che riguardava la loro infanzia e la vita delle loro famiglie al Nord era sviluppata come una vera epopea dell’immigrazione e degli anni d’oro del boom economico», ha raccontato. Questo ha diminuito l’impatto emotivo, per quanto si sia cercato di creare un’alternanza tra flashback e vita attuale anche con un lavoro fotografico che distinguesse i due piani temporali. Uno per tutti prende il via da un plot classico rispetto al genere e sorgono spontanei i parallelismi con varie produzioni nostrane degli ultimi anni, purtroppo senza lo stesso effetto di veridicità. I tre uomini fanno pensare all’ottimo “Anime nere” di Francesco Munzi (che vedeva tra i protagonisti lo stesso Ferracane) con la differenza che lì veniva messo a tema in primis il sistema famiglia; mentre l’incidente di percorso attuato dall’adolescente di buona famiglia ci fa tornare alla mente inevitabilmente “Il capitale umano” di Paolo Virzì (2014). Non è semplice mettere a fuoco e approfondire relazioni e vite con passati così ombrosi e sfaccettati. Peccato per l’occasione mancata.
Uno per tutti, trama – L’atto di un ragazzo di buona famiglia, Teo (Lorenzo Barone), in una serata come tante, mette a rischio la vita del coetaneo ed è l’occasione per un incontro tra amici di vecchia data o, chissà, ex amici. Dopo trent’anni, suo padre Gil (Fabrizio Ferracane), infatti, si ritrova con Vinz (Giorgio Panariello) e Saro (Thomas Trabacchi) per sistemare la vicenda attuale, ma il passato torna a galla con l’uomo che presenta il conto agli altri due.