Non è facile descrivere un personaggio come Vasco Rossi. Mi trovo qui, concentrata davanti a una pagina bianca, in attesa delle parole giuste per parlare del più grande rocker che l’Italia abbia mai avuto nella sua storia. Questa sera e domani lui sarà a San Siro, tempio dello sport e della musica. Con o senza pioggia (poco gli importa), il Blasco si mangerà il pubblico come sempre ha fatto. Un “incantatore di serpenti”, amano definirlo i media. E difatti è l’unico artista in grado di rifilare sette sold out in pochi giorni (negli stadi di Roma e Milano, mica in un teatrino di provincia) e a coinvolgere oltre 400mila spettatori paganti. Sì, è proprio l’uomo dei record, non vi sono dubbi.
Non so quale sia il suo segreto. A 62 anni, con una “vita spericolata” alle spalle, ricca di gioie e di conquiste, ma anche di problemi legati soprattutto agli eccessi, ai vizi e alla salute, oggi lo ritroviamo come nuovo, più carico e motivato rispetto al recente passato. Addirittura si parla di una sua “svolta metal”, che ha sorpreso un po’ tutti, anche i fan più datati. Forse la forza gli arriva dall’affetto dei suoi seguaci, oppure dai fedelissimi compagni di viaggio (dalla moglie Laura Smidth ai musicisti vecchi e nuovi, tra cui Stef Burns). Di certo, la cura di ogni suo male, fisico o psicologico che sia, è l’amore per il rock e per il palco, habitat naturale che sprigiona poesia ed energia durante ogni suo live. Il rock, dicevamo. Il genere che il Komandante ha sempre amato e mai abbandonato in oltre 40 anni di attività.
Già negli anni Sessanta, durante l’adolescenza vissuta tra Zocca (paesino dell’Appennino modenese) e Bologna (dove abitava la zia), il giovane Vasco ascolta i Rolling Stones e sogna un futuro migliore attraverso i testi raffinati di Battisti, De Gregori e Guccini. Il padre lo vorrebbe commercialista, ma il Blasco ama l’arte in tutte le sue forme, tanto da abbandonare l’Università per muovere i primi passi nel mondo del teatro, della musica e del cantautorato. I primi miseri guadagni arrivano negli anni Settanta facendo radio, dj set in locali emiliano-romagnoli e organizzando feste ed eventi in un piccolo pub aperto insieme all’amico d’infanzia Marco Gherardi (che resterà al suo fianco per molto tempo). In questo periodo di fermento culturale e artistico, Vasco si propone anche come performer, presentando in pubblico brani da lui composti. In queste occasioni incontra persone che si riveleranno fondamentali nella sua futura carriera, come Gaetano Curreri (leader degli Stadio), Maurizio Solieri (storico chitarrista), il compianto amico fraterno Massimo Riva ma anche Red Ronnie e Riccardo Bellei.
Nel 1977 pubblica il primo 45 giri, “Jenny/Silvia” (con un’etichetta discografica specializzata in ballo liscio), mentre l’anno successivo arriva il primo vero album, “Ma cosa vuoi che sia una canzone” (distribuito solo in Emilia Romagna). Seguono “Non siamo mica gli americani” (1979), progetto di scarso successo ma che passerà alla storia perché, tra le tracce, contiene la splendida “Albachiara”, brano dedicato a una ragazzina di cui il rocker era innamorato ai tempi della scuola. La svolta arriva all’inizio degli anni Ottanta. Vasco incide “Colpa d’Alfredo” (1980), album che contiene l’omonima canzone che tanto farà discutere per la volgarità del testo e “Siamo solo noi” (1981), uno dei suoi dischi più belli, la cui titletrack diventa l’inno di un’intera generazione. Ma è con la partecipazione al Festival di Sanremo nel 1982 che Rossi esce dai confini regionali per farsi conoscere al grande pubblico. Arriva ultimo, ma la sua “Vado al massimo” e l’omonimo album, ottengono un enorme successo di vendite. L’anno successivo l’artista di Zocca torna a Sanremo con “Vita spericolata” e desta, ancora una volta, scalpore con una performance provocatoria che lascia l’Ariston a bocca aperta. Ovviamente il pessimo piazzamento al festival (arriva penultimo) non coincide con la classifica di vendite: il disco “Bollicine” sale ai vertici e incorona il Blasco vera icona del rock made in Italy.
Sei album in sei anni. Vasco sembra non fermarsi mai. Nei suoi testi scarica tutta la rabbia e la voglia di vivere la vita pienamente, senza freni, senza mai scendere dal treno del divertimento, dell’amore e della verità. Impossibile per lui mentire, indossare maschere o scendere a compromessi solo per assecondare il potere o per ottenere qualche favore. Vasco è Vasco. Lo era agli inizi, nella sua amata Emilia. Lo è ancora di più oggi, di fronte a migliaia di fan adoranti e con una carriera unica e inimitabile. Album come “C’è chi dice no” (che nel 1987 segna il suo ritorno sulle scene dopo il difficile periodo di arresti per droga), “Liberi Liberi” (a cui è legato un tour di grandissimo successo andato in scena nel 1990), “Gli spari sopra” (datato 1993, con il quale conquista ben 10 dischi di Platino), hanno segnato un’epoca e scritto pagine importanti della musica italiana. Per non parlare di “Nessun pericolo…per te” e “Canzoni per me”, che sul finire dello scorso millennio raccontano un Vasco più maturo ma non per questo accomodante. “Nel 1999 esce “Rewind” ma, a pochi giorni dall’inizio del tour, l’amico co-autore e chitarrista Massimo Riva muore per un’overdose di eroina. Lo shock è forte, per il Blasco e per tutta la band. Una ferita ancora aperta, un dolore che mai svanirà per una figura importante che ancora oggi Rossi non manca di ricordare e omaggiare sopra e sotto il palco.
Provando ad analizzare la produzione artistica degli anni Duemila, troviamo diversi alti e bassi. Si va dallo straordinario “Buoni o cattivi”, venduto anche negli Usa, al meno esaltante “Stupido Hotel”, tredicesimo album in studio. E ancora: “Il mondo che vorrei” (uscito in Italia e all’estero nel 2008, certificato Disco di Diamante) al recentissimo “Vivere o niente” (2011), in cui manifesta il malessere provato e la fatica quotidiana per tornare ad essere il rocker dei tempi d’oro. Negli ultimi anni, dopo aver superato nuove battaglie e sconfitto acciacchi e malattia, Vasco Rossi è tornato ad incantare con brani inediti e un tour da brividi, il Vasco Live Kom, così intenso e coinvolgente da far impallidire qualsiasi rockstar americana di successo. Le “dannate nuvole” che hanno tentato, più volte, di oscurare il cielo del Blasco nazionale sono state spazzate via dal vento della passione e dalla potenza delle note che accompagnano ogni suo concerto-evento. Fortunati coloro i quali sono stati o saranno sotto al palco di Vasco, perché potranno vedere, ascoltare e toccare con mano la magia e il calore che solo il Re del rock riesce a regalare.
Silvia Marchetti