Dev’essere un neologismo, pensavo, spiando la parola flourson scritta a mano su alcune sorvegliatissime casse nella National Gallery di Londra. Così, ci ho messo un bel po’ per capire che contenevano materiali per la Mostra Late Rembrandt, le ultime opere di Rembrandt Harmenszoon van Rijn, che si aprirà il 15 ottobre nella capitale britannica. Un’occasione culturale imperdibile. Tecnici e maestranze della National Gallery (Fig. 1), per non dare nell’occhio, chiamavano dunque figlio della farina il più grande pittore olandese d’ogni tempo, nato da padre mugnaio e da madre figlia di fornaio, cosa ignota ai comuni visitatori. Lo humour inglese insito nel neologismo confermava che la popolarità del Maestro galleggia sul gossip piuttosto che sulla conoscenza dei caratteri della sua arte. Chiedete pure in giro perché Rembrandt è stato un grande, provate voi stessi a ricordare qualche sua opera. Con ogni probabilità non avrete risposte. Come mai? A mio parere dipende anche dal fatto che l’artista visse e morì tremendamente… incasinato, e dei suoi guai si è parlato troppo, molto più che dei suoi dipinti! Curiosare nel suo privato potrebbe invece servire a penetrare meglio nel suo immaginario fantastico. Per esempio, lui dipinse più volte la sua mamma Neeltje (Fig. 2), prova di un rapporto viscerale con lei, che aveva inventato lo strano nome Rembrandt nel metterlo al mondo nel luglio 1606 a Leida. E coinvolse in quel privatissimo tema amici e allievi, che della donna ci hanno lasciato ritratti.
Rembrandt fu un maestro del chiaroscuro, ripetono gli specialisti, analizzando ogni dettaglio. Questo vuol dire che il confronto più affascinante dovrebbe essere col suo contemporaneo Michelangelo Merisi. Come il Caravaggio, Rembrandt è presente fra noi con qualche Autoritratto (Fig. 3). Però uno straordinario match tra loro due non è stato mai osato nella storia dell’arte. Messi a confronto con tecnologie moderne, i due massimi geni pittorici del Seicento ci svelerebbero forse come l’arte barocca abbia saputo instaurare dovunque il dialogo tra corporeità, religiosità e contesti: l’italiano, erede di una tradizione figurativa dai modi classici, raccontava il sacro con la materia del profano avvolgendolo nella magia delle ombre; l’olandese rappresentava, con tonalità cromatiche inedite, scene d’amore cariche di passione e sconcertanti avventure della nuova scienza, come la Lezione di anatomia (Fig. 4).
Discutendo una volta con me su un plateale Crocifisso di Luca Giordano esposto nel Museo del Sannio a Benevento, lo specialista rembrandtiano Simon Schama si diceva convinto che la ricerca di modi troppo espliciti non ha consentito al barocco napoletano di raggiungere le altezze di Rembrandt, il quale non tradì la misura classica nell’inventare imprevedibili tattiche di messa in scena dei personaggi. Un po’ come aveva fatto Shakespeare in letteratura. Se si riflette su questo, si arriva a capire che Rembrandt sapeva come si pecca e come si espia, come far irrompere nella pittura l’incedere maestoso e la posa tronfia, l’atteggiamento solenne e il roteare ridicolo degli occhi, come si scopre un seno con disinvoltura (Betsabea al bagno, Fig. 5) e come si minaccia con pugni finti. Un barocco colto, insomma, mai eccessivo.
Peccato che avesse le mani bucate, dicono i pettegoli incapaci di sminuirne la grandezza. D’accordo, per accaparrarsi oggetti mai visti lui aspettava ogni giorno l’approdo delle navi in arrivo d’oltreoceano nel porto di Amsterdam. Ma allora perché non approfondire e far conoscere le tante idee suggeritegli dal suo collezionismo famelico? Lo farà la prossima Mostra londinese? Indubbiamente lo faceva già l’intelligente mercante d’arte Gerrit van Ujlemburch, che sbalordito dalle atmosfere esotiche ispirate da quegli acquisti si offrì di diventare il suo agente esclusivo e cominciò a vendere le sue opere a ricchi e potenti. Rembrandt diventò celebre, sposò Saskia, cugina di Gerrit, e nel 1639 comprò una grande casa nel centro elegante di Amsterdam. Si trovava nel momento migliore della vena creativa, quello di Ronda di notte (Fig. 6), il suo capolavoro, ma quell’acquisto fu l’errore decisivo della sua vita. Dei tredicimila fiorini richiesti diede l’anticipo che poté, sicuro di saldare utilizzando anche il patrimonio della moglie ma, nel partorire il figlio Titus, Saskia morì lasciando tutto al marito a patto che non si risposasse. Rembrandt si guardò bene dal farlo, prima con Geertje Dirks poi con la ventitreenne Hendrickje Stoffels che gli diede la figlia Ottavia, ma rate e interessi per pagare la casa aumentavano. Impegnò ogni cosa, vendette perfino la tomba di Saskia. Inutile. Nel 1669 finì lui stesso in una tomba anonima, impossibile per noi da individuare nella Chiesa di Westerkerk.
Il figlio Titus riuscì a recuperare al Monte dei Pegni il grande specchio usato dal padre per gli autoritratti. Per lui era troppo pesante, pagò un uomo per farsi aiutare a portarlo a casa, ci vollero ore. Sul ponte Rusland lo specchio cadde, andò in mille pezzi. E nel buio della sera gli restò in mano soltanto la cornice….
ELIO GALASSO