Se volete visitare come si deve una grande mostra, provate con quella di Auguste Rodin aperta nel Palazzo Reale di Milano fino a tutto gennaio, e poi a Roma dal febbraio 2014 nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna. E’ il classico evento che attira parecchi ma pretende meditazione, un tipico controsenso italiano. Andateci nelle ore peggiori, quando la mandria dei presenzialisti se ne va a rimpinzarsi nelle tavole calde. Avrete così il tempo per scambiare pareri e impressioni con i pochi eletti rimasti. Vi rifarete la sera, al ristorante, la cui spesa va messa in conto cultura. Dopo tre anni di studio, chi l’ha concepita ci sta regalando la più completa Rassegna mai allestita della produzione del più grande scultore francese moderno.
Il titolo Rodin, il marmo e la vita chiama l’attenzione alla qualità delle sculture, ma voi cominciate col riflettere sulla originalità dell’esposizione, per non correre subito il rischio di prendere per comuni tubi Innocenti quelli dell’allestimento. Al di là del compito di sostegno protettivo, le strutture metalliche sono caricate di responsabilità raffinate. Il loro colore rossoscuro con le giunture dorate vi rimanderà a decori d’altri tempi, e l’allineamento di fragili marmi su tavoloni di legno naturale vi trasporterà con l’immaginazione tra le ‘scansie’ degli atelier parigini di Rodin, da dove tra fine Ottocento e inizi Novecento uscirono tanti capolavori. Le sculture, candide, fanno capolino tra veli pendenti, candidi a loro volta, disposte in modo da poterle guardare di fronte e da dietro, e di lato se v’inchinate a respirare le venature del marmo, a spiare le incredibili rifiniture. A questo punto, il piacere aumenterà di conseguenza.
Avrete capito che non ho intenzione di parlare qui di Auguste Rodin, delle sue composizioni o del non-finito desunto da Michelangelo. Mi intriga sottolineare la necessità di sottrarsi sempre alla pubblicità dell’evento, per recepire le proposte culturali. Nella bolgia della Sala delle Cariatidi a Milano la massa dei vocianti si fingeva ammirata soprattutto dalla castità dei nudi, come a suo tempo la società borghese ne veniva invece scandalizzata. Rimasto dunque all’ora di pranzo con pochi altri, mi son sentito chiedere da una coppietta il punto di vista esatto del monumentale gruppo del Bacio, ovviamente… “Ne ha molti – rispondo – ma badate che erotico è l’approccio sensuale di Rodin al marmo, più che il gesto dei due amanti”. Da quel momento non si scollano dai miei passi, mi chiedono mille perché della Mostra, e io comincio ad immergerli volentieri nell’illusione fantastica del sommo artista, una sorta di pittore smarrito nella scultura. Alla fine, seduto per terra con loro, giusto per non sederci sui tavoloni fra le sculture, i due ragazzi mi hanno costretto a spiegare situazioni di anatomie e riccioli, ombre, riflessi, design e complessità dell’allestimento che fotografavo come appunti critici.
Erano sicuri di avere imparato all’istante. Ma uscendo ho notato che giravano daccapo per la Mostra, ansiosi di percepire sensazioni sconosciute, ancora increduli che il loro Rodin fosse così diverso dal mio.
Elio Galasso