“Gestazioni”

placebo
Blog di Livia Paola Di Chiara

 

La storia si dispiega e si scrive in relazione a date e gesti che vengono riscoperti, valorizzati o disprezzati in un simbolismo sociale che nella sua interezza, spesso, resta ambiguo o addirittura soggetto alle inclinazioni di chi lo racconta. Il rapporto che lega l’atto creativo all’ingegno dell’artista spesso è sfuggente ed enigmatico e cogliere appieno il senso del suo pensiero è alquanto improbabile. Riferire, poi, in termini precisi un concetto, uno spirito, un’azione senza aggiungere del proprio è complicatissimo, specie se un’opera si risolve e definisce in alcuni attimi creativi.

In questa sfida all’impenetrabile, Ugo Mulas sceglie di non limitarsi a ritrarre i suoi soggetti accanto alle loro opere, piuttosto a documentarne il lavoro rivelandone i meccanismi e il senso. Fare riferimento alle intuizioni di un fotografo e non agli artisti o alle opere, contiene in sé un’azione direzionale precisa, poiché sullo sfondo c’è un periodo intenso e articolato e in primo piano un cambiamento solenne che vede al centro della scena artistica internazionale una tendenza globalizzante in cui l’arte attraversa il concetto di opera “oggetto” per tradursi in tensione mentale e comportamento.

A stretto contatto con gli artisti Mulas carpisce il superamento di quelle separatezze tra arte e vita che risultano sempre più stridenti dopo le drammatiche vicende del secondo conflitto mondiale. In questo periodo la sperimentazione dell’Action Painting ha chiarito da tempo la risoluzione della pittura in uno spazio tridimensionale; la ricerca di un’interconnessione tra le arti vede l’elemento processuale diventare componente essenziale dell’opera. Siamo nel 1964 ed happening e Fluxus hanno ormai depredato la scena, sottraendola agli Informali e indirizzando l’arte verso una rotta decisiva che identifica il corpo quale mezzo e fine dell’opera d’arte.

Lucio Fontana, Concetto Spaziale, 1952.
Lucio Fontana, Concetto Spaziale, 1952.

In questo apparente scompiglio Lucio Fontana ha cercato, trovato e “storicizzato” un territorio per questo corpo. Egli si nobilita e si perde nella trama del suo racconto, abbandonandosi alle energie di buchi e squarci quali atti costruttivi calibrati che segnano un universo sempre meno tela e sempre più spazio mentale.

La sintesi di un taglio quale gesto assoluto vede il corpo penetrare il quadro; le mani che attraversano i tagli appena eseguiti comprovano, di fatto, il contatto con la terza dimensione e ne definiscono una quarta: quella temporale. La sua azione, che ha segnato il passaggio netto e definitivo all’arte concettuale, acquisisce una dimensione storica ancor più netta attraverso una serie di scatti che Mulas rivela dettagliatamente.

Lucio Fontana, Concetto Spaziale, Attesa. 1960 (particolare) Londra, Tate Modern
Lucio Fontana, Concetto Spaziale, Attesa. 1960 (particolare) Londra, Tate Modern

Quando il fotografo si reca nello studio dell’artista, in un pomeriggio qualunque e senza specifiche attrezzature, di certo lo fa senza pretese. In pochi attimi, però, e come riporta egli stesso, forse per la presenza di un quadro bianco, grande, con un solo taglio, appena finito, capisce che “l’operazione mentale di Fontana (che si risolveva praticamente in un attimo, nel gesto di tagliare la tela) era assai più complessa e il gesto conclu¬sivo non la rivelava che in parte.”

Intuisce che immaginare l’artista a lavoro è facile, ma non esaustivo per comprendere l’ope¬razione che sente di dover fotografare. Al pari dei fotogrammi di Hans Namuth, che riprende Jackson Pollock alle prese col suo dripping già nel 1951, Mulas induce Fontana a lavorare davanti al suo obiettivo.

La sequenza di scatti, realizzata nel giro di mezz’ora, assume il senso preciso della creazione, valicando i limiti tra inizio e fine dell’opera ed eternando l’affermazione del gesto sulla materia.

La trama artificiosa che Mulas racconterà poi, conferma una vera e propria messa in scena che lascia alquanto perplessi:

“[…] capii come il momen¬to preparatorio, quello che precede il taglio, era il più importante, quello decisivo. Allora ho pregato Fontana di fingere di fare dei tagli. Cosí abbiamo messo una tela nuova sulla parete, e Lucio si è comportato come quando aspetta di fare un taglio, col suo Stanley in mano, appoggiato alla tela, in alto come se il lavoro iniziasse in quell’attimo: lo si vede di spalle, si vede una tela dove non c’è ancora niente, c’è soltanto una tela e lui nell’atteggiamento di chi comincia a lavorarci sopra. È il momento in cui il taglio non è ancora cominciato e l’elaborazione concettuale è invece già tutta chiarita. Cioè quando vengono a incontrarsi i due aspetti dell’operazione: il momento concettuale che precede l’azio¬ne, perché quando Fontana decide di partire ha già l’i¬dea dell’opera, e l’aspetto esecutivo, della realizzazione dell’idea. Forse proprio per questa concentrazione e aspettativa concettuale Fontana ha chiamato i suoi qua¬dri di tagli « Attese».

Fatta questa foto abbiamo tolto la tela e sostituito con un quadro finito fatto d’un solo grande taglio. Fon¬tana ha messo la mano nel punto terminale del taglio, e in una delle foto che ho fatto la mano di Fontana è mossa, come se avesse proprio in quel momento com¬pletato la corsa: non si capisce che quella è una foto fatta apposta, dove il taglio preesiste.”

Insomma, un artista sceglie di prestarsi ad una finzione inscenando una simulazione di una delle sue più lucide intuizioni? Le cose paiono semplici ma quasi mai lo sono e in realtà, dietro la scelta di assecondare l’amico, da parte di Lucio c’è un’idea quasi morbosa di preservare l’atto creativo da influenze avverse che potrebbero fuorviarlo. Lo stesso Mulas racconta che Fontana nel legittimare questo suo rifiuto lo argomenta dicendo che non potrebbe mai fare uno di quei grandi tagli mentre qualcuno si muove intorno a lui. Avverte che, se agisse tanto per fare una foto, il risultato non sarebbe all’altezza delle sue aspettative e della sua concentrazione, che comunque sarebbero importunate dalla presenza di chiunque.

Ma nei secoli, si sa, gli attrezzi del mestiere nelle mani degli artisti sono la “latitudine celeste” che in ciascun caso indica una scelta di metodo per parlare del proprio pensiero. Ecco che Fontana percepisce integralmente che prestarsi comunque alla scena, vuol dire raccontare l’arte come esperienza totale nei confronti della realtà.

Lucio Fontana, Concetto Spaziale, Attese. 1968
Lucio Fontana, Concetto Spaziale, Attese. 1968

Di contro la riservatezza dell’autore ci fa scorgere il lato più puro di uomo che difende un gesto in cui crede profondamente e che, compiuto e trasmesso, eterna l’arte la quale muore come materia. Gli scatti fotografici di una finzione ben riuscita si rivelano dunque uno strumento che, al pari del suo Stanley, concorre alla creazione dello spazio filosofico e concettuale. La dimensione sospesa in cui l’uomo compartecipa alla contingenza del presente e alla vastità del futuro crea una dignità e una libertà assolute, attraverso l’azione.

La nitida identità dello stesso autore si manifesta pienamente nel suo transitorio operare e diventa il manifesto di un periodo che s’incunea verso la semplificazione oggettiva dell’immagine per mezzo di un gesto al quale il suo nome rimarrà indissolubilmente legato e la cui complessità teorica non sarà paragonabile a nessun altro spazialista.

Livia Paola Di Chiara

 

Per ulteriori approfondimenti: Ugo Mulas. La scena dell’arte. Catalogo della mostra a cura di P. G. Castagnoli, C. Italiano, A. Mattirolo. Milano, Mondadori Electa, 2007.

 

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