È il cervello a scattare le foto, ha detto in una intervista Giovanni Gastel, artista dell’immagine. Già, ma col loro cervello alcuni riproducono quello che si ritrovano davanti, nulla più, affidandosi alle curiosità che possono suscitare soggetti anomali o punti di ripresa insoliti. Gastel invece va oltre la realtà, crea visioni, sogni, progetti nell’osservatore, senza necessariamente trasferirgli i propri. E si muove tra fashion, design e still life, la dimensione visiva oggi più universale. Come per dire che le sue foto non potrebbe scattarle un cervello qualsiasi, ma soltanto il suo.
Perché attrae la fotografia di Gastel lo si discute in questi giorni a Milano, dove la Mostra al Palazzo della Ragione registra un fenomeno inverso, i visitatori aumentano anziché diminuire man mano che si avvicina la data di chiusura, il 13 novembre prossimo. La domanda però si ripete da decenni e trova risposte in continuo divenire. Attrae perché l’immaginario dell’artista milanese si nutre della incredibile ricchezza del suo percorso, basato – sottolinea Germano Celant curatore dell’iniziativa – sull’analisi e sulla proposta seriale di ogni soggetto trattato.
È, questa, una lettura inedita che contestualizza le sequenze di fotografie prodotte per riviste di moda e settimanali di alta classe. D’accordo. Ma aggiungerei che Gastel possiede uno stile narrativo poetico, capace di imprimere nella nostra mente scene e figure intrise di emotività potente, corpi e ritratti da incanto, movenze e dettagli scovati dove sembrava non ci fosse nulla. È il modo di raccontare di un fotografo che dialoga con le altre arti. Una scrittura che s’impone fuori dal suo ambito.
ELIO GALASSO