Il rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, presentato a ottobre 2013, parla chiaro: nei Paesi in via di sviluppo circa ventimila giovani al di sotto dei diciotto anni partoriscono ogni giorno. Troppe, poi, non hanno nemmeno compiuto quindici anni. Ogni anno settantamila ragazze muoiono di parto o a causa di complicazioni a esso legate, poiché il loro corpo non ha ancora raggiunto la maturità necessaria per consentire a una nuova vita di nascere e crescere.
Un problema, questo, che colpisce maggiormente i Paesi poveri ma riguarda, in realtà, anche quelli ricchi come gli Stati Uniti. Le ragazze che diventano madri troppo presto, è stato osservato, provengono spesso da famiglie indigenti, da un contesto di emarginazione che non le aiuta a sviluppare una personalità completa e dotata della giusta dose di autostima. Le giovanissime mamme si trovano costrette ad abbandonare gli studi e non è detto che abbiano una famiglia su cui contare.
Inoltre sono numerosi i casi di ragazze violentate, rimaste incinte e rinnegate dalla famiglia, o costrette a sposare i loro stupratori, oppure a diventare mogli di uomini molto più anziani e che non hanno mai visto fino al giorno del matrimonio. Ribellarsi può diventare perfino rischioso per la loro incolumità e la vita che le attende, spesso colma di umiliazioni e fatiche inadatte alla loro età, finisce per spegnerle giorno dopo giorno. La fotografa Stephanie Sinclair ha studiato per molti anni il fenomeno delle spose bambine in Yemen, Nepal, India, Afghanistan ed Etiopia e il frutto del suo lavoro è un reportage tanto vero quanto toccante. Ragazzine schiavizzate, che si sono ritrovate in case sconosciute, tra persone molte volte ostili, chiamate a condurre una vita a cui, ovviamente, non erano preparate e a trascorrere le notti con uomini che le considerano pari a oggetti.
Bambine che fino al giorno prima non conoscevano altra realtà se non quella infantile dei giochi e della spensieratezza. Una condizione che deve essere risolta al più presto. Non esistono diritti, non ci può essere libertà in una vita imposta, privata dei sogni e dei desideri che ogni essere umano coltiva giorno dopo giorno, in base all’età e alle aspettative. Finché le donne, le ragazze e le bambine verranno considerate “merce di scambio”, inferiori agli uomini, mezzi attraverso i quali “dare eredi” alla famiglia del marito questo triste fenomeno non potrà essere cancellato. Il terreno ideale in cui situazioni orribili come quelle descritte possono proliferare in tutta tranquillità, è quello della povertà, dell’emarginazione e della mancanza di istruzione.
E’ necessario formare le coscienze di uomini e donne, far capire loro che tutti gli esseri umani sono uguali (non può essere una chimera o una frase fatta), non importa il sesso, la razza o la religione. Essere donna è una conquista da affrontare giorno dopo giorno, come ci hanno insegnato Oriana Fallaci e Simone De Beauvoir; un cammino lento in cui tutte le tappe vanno affrontate al momento giusto, per raggiungere maturità e l’indipendenza. Due parole queste, che non devono mai spaventare e si conciliano perfettamente con l’ideale corretto di femminilità, anzi, lo costituiscono.
Tutti ricordiamo la storia di Nada Al-Ahdal fuggita da un matrimonio combinato, oppure quella, finita in tragedia, di Rawan, sposa a otto anni e morta durante la prima notte di nozze a causa di una emorragia interna. Per quanto ancora dovrà accadere?
Francesca Rossi