L’Indonesia, quando si parla di religione islamica, rappresenta un caso particolare, quasi una realtà a sé stante. Di solito, purtroppo, l’Islam viene associato quasi esclusivamente alla rigida imposizione religiosa.
Nel sud-est asiatico, invece, la situazione creatasi nei secoli, pur non esente da problemi e minacce legate al fondamentalismo, si è sviluppata in modo particolare. L’Islam è penetrato in questa lontana parte di mondo attraverso i mercanti arabi che vi arrivarono tra il XIII secolo fino al XVII e la prima zona islamizzata fu quella di Sumatra.
La popolazione locale, formata da animisti, buddhisti e induisti, si convertì a poco a poco. I primi furono i membri dell’elite e, in questo modo, la religione islamica poté espandersi su tutto il territorio, persino mescolandosi alle credenze già presenti fino a soppiantarle in molti casi. Una parte importante fu giocata dai matrimoni tra i mercanti musulmani e le donne appartenenti alle classi dominanti.
Il dominio coloniale olandese incontrò una ferma resistenza islamica e questa religione, in opposizione al potere dei colonizzatori, riuscì a infiltrarsi nelle zone rurali e più lontane dai centri di potere.
L’Indonesia divenne indipendente nel 1945 ed è, oggi, il Paese con la più alta densità di popolazione islamica. Benché l’Islam sia il credo della maggioranza degli indonesiani, però, nella Costituzione di questa nazione non vi è alcun riferimento religioso.
L’Indonesia, infatti, è riuscita a costruirsi un’identità basata sulla diversità linguistica (ma la lingua ufficiale è l’indonesiano), religiosa ed etnica.
Lo stesso credo musulmano è stato assimilato in maniera più aperta dalla popolazione, la quale crede nella tolleranza e nella pacifica convivenza basata sulla molteplicità di influenze culturali e religiose.
L’ortodossia delle fedi, dunque, è stata mitigata dai costumi locali e dall’abitudine alla diversità.
Purtroppo, però, negli ultimi anni l’estremismo islamico, ansioso di imporre la Shari’a su tutto il territorio e approfittando di tensioni tra gruppi etnici e religiosi, sta tentando di imporre una visione dell’Islam più rigida, soprattutto nei confronti delle donne.
L’attentato terroristico di Bali nel 2002 è solo un esempio del grave pericolo che sussiste ancora su tutta la zona e che è segnalato a tutti i turisti che vogliano mettersi in viaggio verso la splendida Indonesia.
La provincia di Aceh, situata proprio nella parte a nord di Sumatra, è un’area molto instabile; vi è applicata la Shari’a più rigorosa e vi sono stati scoperti campi di addestramento militare per terroristi.
La sua situazione politica, poi, non è delle migliori, considerando anche l’azione dei separatisti islamici per ottenere la secessione dell’intera area che vive grazie un’economia che si basa sul turismo e il petrolio, due immense ricchezze da amministrare con lungimiranza
Non solo: il gruppo estremista e terroristico più influente, Jemaah Islamiyah, è legato ad al-Qaeda e le indagini compiute per la lotta al fondamentalismo hanno messo in luce il legame che sussiste tra le cellule terroristiche saudite, egiziane e indonesiane.
Una situazione difficilissima, quella indonesiana, sospesa tra un sentimento religioso vissuto con fervore, ma senza ossessione, permeato da una cultura antica che alla diversità come punto cardine della società e la lunga ombra della violenza, dell’imposizione e del terrorismo basato su un pensiero estremista e che con il vero Islam c’entra ben poco.
Nessuno può prevedere se e quando ci saranno altri attentati in Indonesia, né la loro portata. L’unica cosa che si conosce è il costo in termini umani e culturali di simili scempi, soprattutto in una terra che rivendica la sua libertà a chiare lettere, già nello stemma: “Bhinneka Tunggal Ika”, “Unità nella Diversità”.
Francesca Rossi