Digitando su Google “Mamme che lavorano”, ci rendiamo immediatamente conto che le ricerche effettuate riguardano aggettivi come “egoiste” e addirittura “colpevoli”. Non sappiamo se a ricercare “mamme che lavorano sono egoiste” e “colpevoli” siano uomini o donne, ma scoprirlo al momento ci interessa poco. Premetto che sono una giornalista, sposata ma senza figli e che anch’io, come gran parte delle colleghe in carriera, vivo un costante dissidio tra il desiderio di emancipazione e i miei “doveri” di donna, imposti dalla società patriarcale. Se ci facciamo gestire da quest’antinomia, attacchi di panico, pensieri compulsivi e ansia saranno i nostri compagni di viaggio, perché il cervello non saprà quale strada intraprendere. In realtà non è necessario fare una scelta; conciliare il lavoro con la maternità è possibile a patto che però si lasci andare qualsiasi senso di colpa. Da una ricerca della Harvard Business School si evince che le mamme che lavorano crescono meglio i figli, i quali in genere sono responsabilizzati e quindi da adulti saranno più inclini a ricoprire ruoli dirigenziali. Ora, questa indagine si basa pur sempre su dati statistici e dunque non può essere generalizzata, perché ogni storia è un caso a sé. Io ritengo che, per vivere un’esistenza piena e felice, non dobbiamo mai dimenticare che come esseri umani non siamo eterni; perciò sarebbe molto utile considerare la nostra esistenza come un viaggio di scoperta. I miti, le favole, le fiabe dopotutto ci insegnano proprio questo. Ricordate la storia di Ulisse? Raffaele Morelli nel libro “La saggezza dell’anima” (Mondadori) scrive che Odisseo considerava il suo percorso «come tappe dell’infinito e dell’eterno che si affacciano alla coscienza, momenti di un destino unico (…). Chi oggi direbbe no a Calipso che gli offre l’eterna giovinezza?». Ulisse, l’eroe senza tempo, dice sì alla morte e alla vecchia affidandosi ad Atena che è la voce dell’anima; colei che lo protegge dalle insidie. Chi sono oggi i nostri eroi? Chi ci guida? Che cosa accogliamo nella nostra vita? E cosa rifiutiamo? Noi donne in genere oscilliamo come un pendolo tra mascolinità incallita e femminilità a tutti i costi.
In realtà la bellezza sta nel mezzo. Il senso di colpa devasta le donne che, abituate a servire, mettono da parte i loro bisogni, diventando così delle mamme chiocce, che opprimono e non fanno crescere i loro figli, oppure viceversa donne che rinunciano alla femminilità; facce della stessa medaglia. Al contrario basterebbe semplicemente avere fiducia in quell’energia universale che è presente dentro di noi e che non fa alcuna fatica nel creare e plasmare tutto ciò che vediamo sulla Terra. Guardiamo la Natura; prendiamo esempio da essa. Nel film Vita di Pi il protagonista impara facendo esperienza; non private ai vostri figli la gioia di essere creature del mondo che nutrono la propria anima proprio sperimentando, curiosando e soprattutto commettendo errori. Gioia, tristezza e paura sono state create per un motivo; impedire che altri esseri umani siano parte attiva in un processo chiamato Vita è un crimine. Quindi, care mamme, si può far tutto (lavorare, stare a casa, uscire con le amiche, andare dal parrucchiere o dall’estetista) ma, per riuscirci, bisogna impegnarsi a non far ricadere sui propri figli il senso di colpa che vi attanaglia perché i bambini apprendono con l’esempio e non solo attraverso le parole. Loro decodificano meglio di noi il linguaggio non verbale e i sensi di colpa vengono immediatamente riconosciuti! Il lavoro ci nobilita, ci rende autonome e indipendenti, ci aiuta a vivere meglio; a patto (non mi stancherò mai di scriverlo) che veramente lo si vuole. Al contrario la frustrazione prosciuga le nostre forze, facendo prevalere emozioni – che pure hanno una loro utilità – quali la rabbia. Siate creatrici della vostra vita anziché spettatrici. Ricordate, non siete né egoiste (verso chi poi?), né colpevoli. Vi auguro tutto il bello che c’è!
Maria Ianniciello