La tenacia e il coraggio di Malala (nella foto a sinistra), che oggi ha quasi diciassette anni, li conosciamo tutti. Abbiamo seguito la sua lotta contro i talebani e le loro leggi umilianti e discriminanti nei confronti delle donne. Conosciamo altrettanto bene il sacrificio di questa giovanissima ragazza pakistana che, proprio nel dolore, fisico e psicologico, ha trovato la forza di combattere per il diritto allo studio femminile, alla libertà di opinione e di scegliere autonomamente come vivere la propria vita. Accanto a Malala, però, c’è una figura imprescindibile, quella di suo padre Ziauddin Yousafzai. Ziauddin è il sostegno della piccola ma determinata attivista, la sua forza come, del resto, tutta la famiglia Yousafzai. Questo articolo, però, contrariamente al solito, è dedicato proprio al padre di Malala. Non è un caso: molto spesso in questa rubrica si è parlato di padri padroni, di uomini che disponevano del destino di figli e mogli come meglio credevano, arrivando persino a punire i congiunti che non rispettavano la loro volontà. Stavolta, invece, si vuole dare il ritratto di un uomo molto diverso, che fin da subito ha sostenuto, assieme a Malala, una vera e propria guerra dall’esito incerto.
E’ importante riportare questo esempio per far capire, qualora ve ne fosse bisogno, che gli uomini, in Occidente come in Oriente, cristiani o musulmani che siano, non rappresentano sempre un ostacolo per le donne e non sono neppure i proverbiali “aghi in un pagliaio”. Ziauddin Yousafzai è un uomo molto colto, che ha sempre difeso i diritti delle donne. Il suo impegno politico è costante e attivo ed è stato nominato “Special Advisor” delle Nazioni Unite per quel che concerne il diritto allo studio in Pakistan.
Nelle interviste rilasciate ai giornali internazionali ha rivelato di non aver mai trattato sua figlia come una semplice ragazzina, ma di averle insegnato fin da piccola il valore dell’esistenza, che deve essere curata e amata nel rispetto dei desideri di chi si ama. Quest’ultimo punto è fondamentale; il padre di Malala ha dichiarato con forza di non aver mai imposto ai familiari il suo volere, né schiacciato i loro sogni in nome di una presunta autorità inoppugnabile del capofamiglia. Da qui si può intuire una delle ragioni principali che stanno dietro alle vittorie di Malala: il sostegno evidente e mai negato di un padre, a cui non interessa esercitare il potere all’interno del nucleo familiare, ma insegnare ai suoi figli a pensare e, così, a conquistare la libertà necessaria per vivere senza alcun condizionamento.
Ziauddin, inoltre, sostiene che l’istruzione femminile sia l’unico sistema valido per far emancipare le donne e anche le nazioni da cui queste provengono. L’educazione, dunque, è libertà e progresso. Quest’ultimo passa anche attraverso la tecnologia, che le donne devono essere in grado di utilizzare, ma senza assuefarsi o preferire il mezzo tecnologico alla vita vera (cosa che riguarda anche gli uomini e sta diventando una questione di primo piano anche da noi). Il padre di Malala, come lei stessa ha precisato, le ha insegnato che uomini e donne possono fare le stesse cose, sono uguali e nessuna delle due parti può prevaricare l’altra ma deve, invece, ricercare l’armonia nella convivenza.
Nel libro “Io sono Malala, la mia battaglia per la libertà e l’istruzione delle donne” (Garzanti, Milano 2013) il luogo comune (in molti casi, purtroppo, vero) del “padre padrone” viene completamente scardinato e ciò che ne viene fuori è il ritratto di un uomo che è sempre stato la guida della famiglia, un punto d’appoggio da cui sollevarsi e scoprire il mondo senza alcun tipo di imposizione. Un padre che ha dedicato tempo e pazienza a insegnare ai figli cosa significa amare e vivere davvero e per quale motivo nessuno ha il diritto di disporre dell’esistenza e della volontà degli altri.
Francesca Rossi