Maria Giulia Sergio: il nome dell’italiana convertitasi all’Islam e alla terribile causa dell’Isis sta rimbalzando su giornali e televisioni. La Procura di Milano, dopo aver ascoltato le intercettazioni che contenevano messaggi di inaudita violenza contro l’Occidente e inneggianti al jihad, ha ricostruito tutto il percorso che ha portato la Sergio, divenuta Fatima az-Zahra dopo la conversione, a diventare una foreign fighter. L’indagine ha portato, infine, all’arresto di cinque persone, tra cui il padre, la madre e la sorella della stessa Fatima, con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo. La ventisettenne, infatti, si è trasferita in Siria con il secondo marito, il mujaheddin albanese Aldo Kobuzi, per dare sostegno ai combattenti dello stato islamico. Non solo: è giusto far sapere che la stessa Fatima ha divorziato dal primo marito, marocchino, poiché riteneva che non fosse un vero combattente votato alla causa islamica e alla morte per essa. Le intercettazioni a cui accennavo prima sono angoscianti. Si tratta di dialoghi tra Maria Giulia Sergio e la sorella Marianna in cui la prima tenta di convincere la seconda a unirsi all’esercito dei combattenti per Allah. A quanto pare la giovane originaria di Torre del Greco, residente a Inzago, sarebbe già stata addestrata a sparare con il kalashnikov dai mujaheddin e ha perfino riso durante i colloqui via Skype con la sorella perché suo marito stava andando, con altri uomini, a lapidare un uomo giudicato adultero.
Fatima non fa mistero, dunque, di voler vedere quelli che considera miscredenti e che per anni sono stati il suo ambiente, il mondo in cui è cresciuta, uccisi in nome di Allah, affinché lo stato islamico possa prosperare sulla loro morte. Ricordiamo anche che Maria Giulia Sergio, pochi mesi fa, espresse la sua gioia per l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo e ancora prima si era presentata in televisione per declamare l’obbligo, per ogni buona musulmana, di portare il velo. Ora era arrivata a convincere i familiari, già convertiti, a licenziarsi dal lavoro, vendere i mobili e partire per la Siria. Il procuratore aggiunto di Milano e responsabile del dipartimento dell’Antiterrorismo Maurizio Romanelli ha evidenziato l’importante risultato raggiunto con questa indagine, spiegando che, al momento, relativamente a questa non ci sono né indizi né prove della preparazione di attentati in Italia. L’inchiesta è riuscita anche a far luce su tutte le meticolose regole da seguire per partire e diventare mujaheddin e sui passaggi che vanno dal reclutamento all’addestramento dei futuri combattenti, ricostruendo il percorso fisico e psicologico che porta persone in apparenza lontane dal terrorismo ad abbracciarne totalmente l’ideologia e ad imbracciarne le armi. Ciò, pur essendo un valido passo avanti, non deve tranquillizzarci: è notevole, infatti, la capacità dell’Isis di reclutare, tramite Internet (la stessa Fatima ha un profilo social) o moschee, giovani da tutto il mondo, di far loro un profondo lavaggio del cervello, palese anche nel caso qui descritto e addestrarli con crudeltà. Sta avvenendo una sorta di “esodo” degli aspiranti foreign fighters verso le zone usurpate dai terroristi, che altro non è se non un convergere verso un unico punto per prepararsi a muovere guerra.
L’allarme c’è, lo vediamo nelle strade delle grandi città, pensiamo alla tensione che si respira in questo periodo a Città del Vaticano, uno dei possibili e agognati bersagli del jihad. E’ molto probabile che il caso di Maria Giulia Sergio non sia isolato, mentre la risposta di Europa e Stati Uniti non può tardare ancora. Un’ultima nota personale in conclusione: fa male doversi imbattere in personaggi simili, che fanno della morte, dell’oppressione, del sangue, dell’odio e della vendetta la loro ragione di vita. Fa ancora più male quando si sa, per studi ed esperienze, che ciò che dicono non ha mai avuto dimora né in cielo né in terra ed è frutto di un lavaggio del cervello operato da persone senza scrupoli. A questo punto chi conosce non deve smettere di imparare (Socrate aveva ragione, tutti dovremmo sapere di non sapere, è un ciclo che non si conclude mai); chi vuole conoscere, invece, non esiti a ricercare, a leggere e studiare, facendo domande, ascoltando e, perché no, persino obiezioni che vanno, però, ben sostenute e argomentate. L’Isis è un pericolo anche perché si fonda sull’ignoranza di chi vi aderisce. Non dobbiamo sottovalutare il potere di persuasione e i mezzi di queste persone e una delle risposte che possiamo dare è quella dell’azione che viene dalla conoscenza. Siamo ancora in tempo.
Francesca Rossi