E’ recente la notizia della decapitazione di quattro combattenti curdi, di cui tre donne, vicino a Kobane, in Siria. In seguito le loro teste sono state esposte, come monito a Jarablus.
Gli autori di questo scempio sono ancora loro, i terroristi dell’Isis. L’escalation di violenze non si ferma, anzi, diviene di giorno in giorno più devastante fino a sembrare quasi inarrestabile.
Chiunque cerchi di arrestare l’avanzata jihadista, con le armi o con le parole, diviene un ostacolo da abbattere a tutti i costi, in totale spregio nei confronti della vita e del più elementare senso di umanità. L’uccisione dei curdi è stata una rappresaglia, allo stesso modo l’esecuzione dell’avvocatessa Samira al-Nuaimy. A ben riflettere gli stessi crimini commessi dall’Isis contro i cristiani, come il caso delle studentesse ridotte in schiavitù e stuprate, sono rappresaglie contro l’Occidente, ma anche contro i musulmani moderati e tutti quelli, non importa la nazionalità o la religione, che credono nell’importanza e nel rispetto dei diritti umani.
Ogni giorno la televisione e i giornali parlano di nuove atrocità, di jihadisti che possono contare perfino su europei e americani che hanno abbracciato l’Islam e la loro “causa”. A questo punto viene naturale domandarsi se tutto questo finirà mai, quale sarà la strategia più mirata e concreta che i governi potranno attuare e se esiste ancora la speranza di bloccare l’avanzata fondamentalista.
Finché vi saranno persone disposte a lottare e a rischiare in prima persona, forse questa speranza non si spegnerà.
In mezzo a tanto orrore, infatti, la storia di una giovane araba di trentacinque anni, Mariam al-Mansouri, prima donna pilota dell’aviazione militare degli Emirati Arabi e impegnata a comandare le incursioni aeree del suo Paese contro l’Isis, è davvero una bella notizia.
Mariam ha spirito patriottico, senso del dovere e ferrea forza di volontà. Dall’intervista rilasciata al “Deran al-Watan” viene fuori il ritratto di una donna che crede nella giustizia, porta il velo ma non per questo appoggia gli estremisti, tutt’altro, (faccio questa precisazione perché c’è ancora chi associa indissolubilmente l’accessorio a un determinato modo di pensare).
Mariam è laureata in letteratura inglese, attualmente comanda un F-16 e ha già bombardato numerose postazioni dell’Isis in Siria. C’è, però, il rovescio della medaglia. Sembra, ma non ci sono ancora certezze, che la famiglia della giovane l’abbia ripudiata proprio per questo suo impegno nella guerra al terrorismo.
A quanto pare il clan al-Mansouri avrebbe rilasciato una dichiarazione, riportata dall’agenzia palestinese Wattan e poi dal Daily Mail, in cui era esplicito l’intento di disconoscere Mariam. Di seguito è riportato un passaggio di questa dichiarazione, di cui non è stata provata ancora l’autenticità e che è stato diffuso anche da molti giornali italiani: “Noi, la famiglia Mansouri degli Emirati arabi uniti dichiariamo di ripudiare Mariam al Mansouri, così come chiunque prenda parte alla brutale aggressione internazionale contro il fraterno popolo siriano”.
La stessa Mariam ha sempre assicurato di avere il sostegno dei suoi congiunti, ma è possibile che non tutti siano apertamente dalla sua parte.
Nella storia della coraggiosa Mariam c’è spazio anche per le battute infelici. Sul canale Fox News, americano, la giornalista Kimberly Guilfoyle ha espresso tutta la sua stima per la donna che è riuscita a diventare un simbolo per le arabe e le occidentali.
Il suo collega, Eric Bolling, ha pensato di intervenire con un gioco di parole di dubbio gusto, cambiando l’espressione “boots on the ground” (si intende il fatto che i soldati siano in azione sul campo e la parola “boots” vuol dire “scarponi”) con “boobs on the ground” (“boobs”, ovvero “tette”).
La frase si commenta da sola e il giornalista ha dovuto ha ricevuto una pioggia di critiche. Cosa rimane di tutta questa vicenda? Da una parte c’è Mariam, una giovane donna determinata e responsabile, dall’altra una famiglia che, forse, la disapprova e pare l’abbia già ripudiata, (chissà, magari le critiche più veementi vengono dagli uomini del clan?), i jihadisti nemici giurati delle donne indipendenti e istruite come lei e, per finire, un giornalista occidentale che non ha fatto proprio una bella figura.
Sì, Mariam è davvero un simbolo di speranza e di questi tempi ce n’è tanto bisogno.
Francesca Rossi