“Provate a leggerli da soli o vi aiuto io?”. “Legga lei, prof…” mi risponde il solito dal fondo dell’aula! Siamo nella Scuola di Paleografia dell’Archivio di Stato di Napoli e anche lì, dopo la laurea, il latino fa paura. Distribuisco fotografie di frasi scritte con qualche chiodo appuntito sui muri di Pompei duemila anni fa, prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo. Le mie sono lezioni sulla capitale corsiva, una scrittura veloce inventata dagli antichi romani per comunicare pensieri per strada, un alfabeto di lettere a trattini disgregati, ben diverse da quelle regolari della capitale quadrata, scrittura che anche chi non sa il latino può leggere sui monumenti. Graffiti urbani insomma. Accetto la richiesta degli studenti, soltanto frasi d’amore, e cominciamo così ad avventurarci in un voyeurismo bello e buono.
L’amore è malattia, ne era convinto il gladiatore reziario Crescente che ‘curava’ le pene d’amore delle ragazze, a modo suo: CRESCE(N)S RETIA(RIUS) PUPARUM NOCTURNARUM SERATINUS MEDICUS, sono il reziario Crescente, di sera faccio il medico delle ragazze notturne (FIG. 1). L’idea curativa cattura studenti e studentesse, che invece di badare all’andamento inclinato del trattino centrale della lettera A e all’occhiello aperto della R, imparano che a Pompei le ragazze le chiamavano pupe, bambole. Anzi sono già passati a un’altra frase, dove la E è scritta con due trattini verticali paralleli, e con qualche difficoltà leggono: PUPA QUE BELA ES… pupa quanto sei bella! (FIG. 2). Sguardi languidi s’incrociano in aula, qualcuno osserva “a Pompei scrivevano in dialetto”. Infatti bela e bella erano forme del latino parlato, stanno al posto del classico pulchra. Propongo questa scritta incisa sul muro della casa di Fabio Rufo: VASIA RAPUI, QUAERIS, FORMOSA PUELLA? mi chiedi perché ti rubo tanti baci? perché sei una bella ragazza! (FIG. 3). No no, mi corregge una studentessa, formosa significa ‘bona’ e, scusi, vasia non è napoletano? Direi di si, come pure altre parole, rispondo: per esempio, a Pompei un innamorato tradito svergognò la sua ragazza scrivendo NYCHERATE VANA SUCCULA, Nicerate infedele porcellina. Infatti da quel succula (diminutivo di sus, cioè ‘piccolo suino’) è derivato il napoletanissimo… zoccola, che per i latini era quindi la femmina del maiale, non del topo!
Una statua pompeiana accende intanto l’eterna diatriba sulle provocazioni femminili. E’ una Venere che in bikini traforato si allaccia il sandalo (FIG. 4) mentre un amorino le fa il solletico sotto il piede e un satirello in posa oscena la guarda. A loro volta, le audaci Avances di un innamorato dipinte nella Casa di Cecilio Giocondo (FIG. 5) aprono discussioni sulla aggressività maschile. Ne approfitto per far leggere, su altri muri, INDECENS ES, sei uno sporcaccione, scritto da Virgula al suo ragazzo Tertius. E poi SERENA ISIDORUM FASTIDIT, mi chiamo Serena, e non sopporto Isidoro! Alla fine, maschi e femmine nell’aula si ritrovano concordi su un unico argomento, il rifiuto dell’amore a pagamento, assai presente nella Pompei antica, che con soli diecimila abitanti contava ben trentacinque bordelli, distinti in 19 lupanares (edifici specifici, solitamente a due piani, anche lungo le vie principali) (FIG. 6), 7 postribula (ambienti costruiti da privati accanto alle loro abitazioni, con accesso separato) e 9 cellae meretriciae (camere in affitto per incontri sessuali all’interno di abitazioni private, come la cella meretricia nella villa dei fratelli Vettii, ricchissimi commercianti). Senza contare le stanze adibite allo stesso scopo al piano superiore delle cauponae(taverne).
Decido di concludere la lezione ignorando le pressanti domande fuori tema: “Ma con tanti casini le donne si prostituivano tutte? Perché gli innamorati traditi si irritavano, e invece non ci sono graffiti di mariti e mogli? non ci badavano?”. Prendo le foto di due ultime iscrizioni, le fisso alla parete e lascio lì i ragazzi a decifrarle da soli, a meditare. La prima è l’offerta di una ragazza povera: SUM TUA AERE, sono tua per una monetina di rame… (FIG. 7). La seconda dice IUVENILLA NATA DIE SATURNI, HORA SECUNDA VESPERTINA, IIII NONAS AUGUSTAS, oggi sabato 2 agosto mi è nata Iuvenilla, alla seconda ora del vespro. L’anno era il 79 dopo Cristo. Ventidue giorni dopo, domenica 24 agosto, la piccola Iuvenilla e il suo felice papà furono sepolti dalla lava.