Dire Donna in alcuni Paesi del Mondo equivale a pronunciare la parola “disgrazia” e fino a cinquant’anni fa anche in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, quando nasceva una femmina, i genitori e tutti i parenti di solito non erano felici. Dopotutto l’augurio “E…figli maschi”, che si usa fare a una coppia di sposi novelli, la dice lunga sul retaggio culturale di una Nazione che, nonostante si sia evoluta molto, deve ancora compiere enormi progressi verso un’autentica uguaglianza di genere, intesa non solo come pari opportunità, ma soprattutto come fatto propriamente socioculturale. Questa rubrica, che ho intitolato “Il resto di niente, parola di donna” per ricordare Eleonora Fonseca Pimentel (la prima giornalista europea, dalla cui storia è nato il coinvolgente romanzo di Enzo Striano “Il resto di niente”), nasce dalla volontà di dare voce alle donne, cioè alle professioniste, alle imprenditrici, alle artiste, alle scrittrici e a tutte quelle personalità femminili che si stanno distinguendo nei loro settori. Questo spazio vuole inoltre essere un punto di riferimento per le mamme, per le casalinghe, per le adolescenti… e per le operaie che ogni giorno s’impegnano, con sacrificio e a testa bassa, per portare un piatto caldo alle loro famiglie. E poi come non ricordare quelle donne che tra le pareti domestiche o nei luoghi di lavoro subiscono violenze o molestie dai loro mariti, compagni, datori o colleghi? E quelle donne che hanno smesso di sognare e di credere in un futuro migliore? Oggi voglio dunque partire proprio da qui, cioè dalle violenze, psichiche e fisiche, che si consumano tra le pareti domestiche, per strada o sui posti di lavoro. Maria Rusolo, avvocato della provincia di Avellino, traccia un breve excursus sulle Normative in vigore in Italia per le Pari Opportunità e in particolare sul fenomeno dello Stalking e delle violenze in famiglia.
«Lo Stalking sarebbe il comportamento reiterato che determini una sorta di fastidio psichico e fisico ma che nella pratica è complesso da individuare e da perseguire – spiega l’avvocato -. La Legge sullo Stalking fu varata nel 2009, pensando di dare una delimitazione normativa che consentisse ai giudici di operare con maggiore serenità. Accade spesso però che in Italia si legiferi perché spinti da onde emotive piuttosto che da vantaggi prettamente tecnici. Lo Stalking è un fenomeno molto comune, che accade soprattutto in ambito familiare, e quindi diventa difficile individuare il reato e altrettanto arduo perseguire chi si macchia di simili fatti – precisa Rusolo -. Perciò prevedere un articolo che disciplini questo crimine, come il 612 Bis, senza creare delle strutture di supporto per le donne, è stato controproducente».
Dal 2009, anno in cui è stato approvato il provvedimento, non ci sono stati, dunque, dei miglioramenti?
No. E spiego meglio il concetto. Non voglio sembrare pessimista nelle mie valutazioni, ma i numeri parlano chiaro. Dall’inizio dell’anno a oggi il numero di donne morte per mano di un uomo è pari a sessanta, una cifra che mostra, con tutta la sua forza, la gravità della situazione. Creare un sistema di norme non è da solo sufficiente.
Perché?
Una donna, che subisce violenza e che non ha un’indipendenza economica, non è portata a denunciare il marito perché non sa dove andare. In Inghilterra il fenomeno si è ridotto drasticamente, perché la Legge prevede una serie di misure volte a tutelare la donna, che viene allontanata, con i figli minori, dalla casa familiare, mentre l’uomo è sottoposto a custodia cautelare in carcere. In Italia il decreto approdato alle Camere nel mese di agosto mostra tutti i suoi limiti; si parla per esempio di allontanamento del marito violento, colto in flagranza di reato, ma non si spiega bene come questo dovrebbe accadere. Si prevede l’irrevocabilità della querela che non solo entra in contrasto con un principio molto importante del nostro sistema processuale, ma si delega in maniera assoluta il potere allo Stato, che non è al momento, per mancanze di risorse ed energie, in grado di proteggere la donna dopo la denuncia e sino alla condanna del marito o compagno violento. La previsione di aggravanti mi lascia, come tecnico, perplessa. Restiamo comunque in attesa, sperando in miglioramenti che nascano dall’ascolto della società civile. Le Norme quindi esistono, ma è l’attuazione delle stesse che non è adatta per arginare il fenomeno. Cioè l’inasprimento delle pene – se non è accompagnato da reali condanne, da misure cautelari che funzionano e da una polizia giudiziaria attenta alla vittima – non ha alcuna efficacia. Purtroppo nel nostro Paese non esiste quella che i criminologi americani chiamano vittimologia. Nessuno s’interroga su cosa accade alla vittima, alla persona offesa dal reato; pensate al caso del pedofilo, al quale è stato revocato il provvedimento di divieto di dimora e che è tornato a vivere accanto alla dolce e piccola adolescente molestata. I giudici si sono giustificati adducendo il venir meno delle necessità cautelari. Come a dire: «E` vecchio e malato, quindi non può reiterare la condotta criminale». Si è agito senza riflettere e senza valutare la condizione psicofisica della minore.
Vi sembra normale. E` giusto, è opportuno?
No. Non lo è. Quindi, una donna sposata, che subisce violenza dal marito, cosa deve fare?
Dovrebbe allontanarsi dalla casa familiare e presentare una querela, avvalendosi sin da subito di professionisti che possano assisterla, tutelarla e indicarle il percorso più giusto da seguire. Ecco perché diviene fondamentale il gratuito patrocinio e la presenza presso le locali stazioni di Polizia e di Carabinieri di avvocati specializzati nel settore. L’articolo 282 bis del Codice Penale prevede la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, nel caso di alcune ipotesi specifiche di reati che attengano alla sfera familiare. Inoltre, si potrebbero anche usare i braccialetti elettronici (inutilizzati), che sono messi a disposizione dal Ministero e che potrebbero essere utili per il controllo degli indagati in questi casi particolari.
Parliamo di Pari Opportunità. In Italia cosa manca, a livello giudiziario, e cosa c’è?
Bisognerebbe ideare una Politica che parli alle donne e che sia per le donne; una Politica che valorizzi il mondo femminile per professionalità e competenze. Qualche giorno fa leggevo un articolo di Michela Murgia, che sottolineava la necessità di garantire maggiore rappresentatività delle donne soprattutto in Politica. Sono le donne a dover scrivere la loro storia con asili nido, sostegno al reddito, uffici tecnici per le lavoratrici presso gli ispettorati del lavoro. Insomma, mediante una Politica Europea che parli al mondo femminile e per il mondo femminile; una Politica che favorisca anche l’occupazione delle donne, per aumentare il numero delle laureate e le loro competenze. E se questo significa imporre le Quote Rosa nei Consigli di Amministrazione ben venga. Si tratta di creare una sinergia che coinvolga vari interlocutori: Enti pubblici, Scuola, Associazioni, Partiti, Sindacati. Solo così si riparte creando una cultura di prevenzione per garantire uguaglianza, rispetto ed emancipazione; purtroppo i valori cari al Femminismo degli anni Sessanta sono, ahimè, ancora troppo attuali.
Maria Ianniciello