Mi ripugna ogni cosa divisa con altri,
odio l’amante che a tutti si dona,
scanso le vie piene di folla,
a fontana di piazza non bevo…
Quello che attrae le masse è quasi sempre privo di qualità affermò Callimaco, il più grande poeta greco-alessandrino. Dopo oltre duemila anni sembrerebbero in disaccordo con lui le odierne campagne per convincere la gente ad andare invece senza problemi alle fontane di piazza, che erogano acqua controllata e salutare, solitamente superiore a quella imbottigliata, costosa: pochi sanno che, privata del contatto con l’ossigeno dell’aria, l’acqua minerale invecchia nei magazzini anche prima della scadenza. Fra le altre, vale la pena di segnalare l’iniziativa dal significativo titolo Imbrocchiamola, cioè mettiamo nella brocca l’acqua che esce dai rubinetti e portiamocela a tavola. Ovviamente queste campagne non fanno riferimento al poeta Callimaco, che con le sue metafore parlava di ben altro, ma indicano che sull’acqua pubblica sta tornando l’attenzione dei paesi avanzati.
Come i tanti che mi arrivano, stavo per metter via l’invito a visitare a Parigi la Mostra A boire, à voir, anche se ricca di fotografie d’autore. Per fortuna feci caso al sottotitolo A la découverte des fontaines parisiennes che stimolava i parigini a riscoprire e utilizzare le loro fontane di strada, e così ho potuto gustare le fotografie di quella Mostra una per una. Tenutasi al Pavillon de l’Eau di Parigi presso il lungosenna Georges Pompidou, si è chiusa da poco con migliaia di visitatori.
Il caso invita a riflettere su un patrimonio civile e culturale che arricchisce anche l’Italia. Nelle nostre strade non ci sono dispositivi moderni come le eleganti fontaines arceau, le fontane ad archetto francesi in acciaio diventate un’attrazione turistica per l’originale design, la qualità dell’acqua erogata e la capacità di pulirsi e igienizzarsi da sé. Ma qui da noi, scolpite in pietra (Fig.1) o fatte di metallo, di fontane monumentali e umili fontanelle ne sopravvivono tantissime dal tempo che fu, nei centri storici e nei giardini aperti a tutti, lungo le strade interurbane e nei sentieri di campagna per abbeverare persone e animali in cammino, negli slarghi o all’incrocio dei vicoli per servire alle esigenze del vicinato. Intorno ad esse, mentre si estingue la sete fisica, sono sempre nate amicizie e solidarietà, pettegolezzi e pregiudizi, e tutti vengono a sapere tutto di tutti. Proprio quello che Callimaco non sopportava. Ciò che tanti parigini e turisti hanno scoperto nella Mostra a cui ho accennato, noi italiani possiamo scoprirlo cercando con gli occhi, nei nostri percorsi quotidiani in paesi piccoli e città, le quattordicimila fontane pubbliche finora censite in Italia.
Non si tratta soltanto di recuperare testimonianze storiche. Anche se non tutte creano atmosfere d’arte, le fontane pongono una questione di grande attualità in un momento di crisi economica, direi anzi di civiltà. Le più diffuse sono infatti modeste colonnine in ghisa, richiedono cure perché si deteriorano, qualche restauro se presentano elementi d’artigianato pregevole o tracce scritte di chi le realizzò. Cure ne ricevono a Milano, dove sono sempre più numerosi gli assetati che scherzosamente dicono “vado al bar del Comune” quando si dirigono verso una delle loro vedovelle sempre… piangenti.
E più ancora ne ricevono i toret (Fig.2), le settecento fontanelle metalliche a testa di toro, l’animale totem di Torino, che erogano “l’acqua del Sindaco” nel capoluogo piemontese, dove da poco ha aperto i battenti un ristorante ‘minerale-free’ deciso a non servire più a tavola l’acqua ‘minerale’. Le pubbliche amministrazioni di molte altre città, invece, alla questione per ora non fanno gran caso. Ma anche le loro storiche fontanelle continuano imperterrite, come al tempo di Callimaco, ad erogare acqua controllata di sorgente, non priva di minerali utili, a dispetto della gente snob per la quale fa troppo ‘plebeo’ pasteggiare con l’acqua che scorre dai rubinetti o sussurra per le strade.
Elio Galasso