Il Capodanno 2016 si avvicina portandosi dietro una lunga storia che riguarda l’umanità intera, con cadenza costante, attraverso i secoli. Da sempre attribuiamo a questa festa un significato di cambiamento profondo, di rinascita e, non a caso, puntualmente formuliamo desideri e buoni propositi anche molti giorni prima della festa vera e propria. Talvolta questi propositi durano il tempo di poche ore, altre volte si materializzano in azioni concrete, ma quasi mai manchiamo di elaborarne almeno uno nel nostro cuore. E’ un modo per segnare il nostro cammino, per dare un senso al tempo e alla vita che scorre, una solenne promessa con noi stessi, aiutata da una particolare atmosfera di attesa e di festa, che non dovremmo dimenticare una volta tornati alla quotidianità. Mantenerla viva in noi, infatti, vuol dire essere consapevoli della nostra esistenza e del nostro posto nel mondo ma, soprattutto, ascoltare la voce del nostro istinto, che molto spesso sa molto meglio di noi ciò che vogliamo, ciò che ci fa bene. Tutto ciò lo avevano capito anche le generazioni che ci hanno preceduto e, infatti, il Capodanno ha numerose tradizioni in tal senso. Ripercorriamole insieme. Nel 191 a.C., nell’antica e potente Roma, il pontefice massimo, cioè la somma autorità religiosa della città, attraverso la “Lex Acilia de Intercalatione”, fissò il Capodanno (dalle parole “capo di anno”, inizio dell’anno) al primo gennaio (precedentemente era festeggiato in marzo), rifacendosi alla tradizione, che sfuma nella leggenda, secondo la quale fu Numa Pompilio, secondo Re di Roma (VIII-VII sec. a.C.) a compiere la prima riforma del calendario. Le successive sarebbero state quella giuliana, voluta da Giulio Cesare (100 a.C. circa-44 a.C.) nel 46 a.C. e quella gregoriana, imposta dal Papa Gregorio XIII, (1502-1585 ed eletto nel 1572) nel 1582 con la bolla “Inter gravissimas”.
Numa Pompilio fece una prima divisione dell’anno in mesi, seguendo il ciclo lunare. Come sappiamo, però, tale ciclo è diverso da quello solare, completandosi in 29 giorni (non i canonici trenta, per intenderci). Per colmare questa divario il re decise di “aggiungere” dei mesi che rendessero possibile il recupero del perfetto ciclo dei solstizi nel giro di pochi anni. Inoltre, come ci racconta Plutarco (46 d.C. circa-127 d.C. circa) nell’opera “Vita di Numa”, il sovrano cambiò l’ordine di scansione dei mesi, mettendo al primo posto proprio gennaio. Leggiamo le parole di Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.) a proposito di questa epocale riforma: “E divise l’anno in dodici mesi seguendo prima di tutto il ciclo della Luna; e poiché la Luna non lo completa con i singoli mesi di trenta giorni, ma avanzano sei giorni per un anno intero che completi il ciclo dei solstizi, stabilì di interporre mesi intercalari in modo che nel giro di 19 anni i giorni, tornando alla stessa posizione dal quale erano partiti, collimassero in pieno con gli anni. Distinse poi i giorni in fasti e nefasti, perché in certi giorni non si dovessero prendere decisioni pubbliche”. (Ab Urbe Condita, libro I, opera scritta tra il 27 e il 14 d.C.). Narra la leggenda che la consigliera di Numa Pompilio in questo caso fu la ninfa Egeria, in seguito diventata sua moglie. La domanda che molti potrebbero porsi ora è perché proprio gennaio è il primo mese dell’anno? Il nome gennaio deriva da quello del dio Giano bifronte, raffigurato con due volti, uno che guarda avanti, cioè al futuro, l’altro che guarda indietro, al passato. Per questa caratteristica Giano era considerato la divinità degli inizi e spesso la sua immagine si trovava sulle soglie delle case, o sui passaggi in genere, a custodire l’entrata e l’uscita, l’interno e l’esterno. Giano rappresentava tutto ciò che segue il ciclo inizio/fine, proprio come l’anno. Chi meglio di lui, dunque, per segnare, presidiare il cammino dell’uomo che varca la soglia tra l’anno passato e l’anno a venire?
Il primo giorno dell’anno il pontefice massimo offriva alla divinità una focaccia di farina e uova con del farro proprio per propiziare il suo aiuto per i giorni che stavano per arrivare, soprattutto per quel che concerneva i raccolti, ovviamente, cioè il perno attorno a cui ruotava la vita nell’antichità. A tal proposito lo studioso James Frazer, ne “Il ramo d’oro. Studio sulla magia e sulla religione” (1915), spiega molto bene il valore del dio Giano per gli antichi Romani, mettendo in relazione proprio l’iconografia del dio con l’inizio dell’anno. Non dobbiamo dimenticare, poi, che l’anno si chiudeva con i Saturnalia, che si celebravano tra il 17 e il 23 dicembre, in onore del dio Saturno: in quei giorni non solo si davano sontuosi banchetti e ci si scambiavano strenne, per lo più datteri, fichi, miele avvolti in foglie d’alloro per propiziare la felicità, il lato dolce e positivo delle cose, ma l’ordine della società veniva sovvertito, lo schiavo poteva, indossando una maschera, divenire un re e le donne fare ciò che facevano gli uomini. Dunque negli ultimi giorni dell’anno la quotidianità mutava in una sorta di carnevale, per poi attraversare il passaggio tra passato e futuro, ristabilendo le regole usuali. Un clima di festa, ma anche di consapevolezza della “relatività” della vita. In Europa nel Medioevo la festa di Capodanno cadeva in giorni diversi a seconda del luogo, benché molti Paesi seguissero la scansione del tempo secondo il calendario giuliano.
Per esempio in Francia, nel Cinquecento, si celebrava il Capodanno nel giorno di Pasqua, mentre a Venezia la ricorrenza cadeva in marzo.Questa apparente “confusione” ebbe termine nel 1691 (quindi il calendario gregoriano era già in vigore da più di un secolo), quando Papa Innocenzo XII (1615-1700, eletto nel 1691) stabilì che l’anno dovesse iniziare il primo gennaio, obbligo che si stabilizzò anche grazie all’adozione su larga scala del calendario gregoriano. Dal punto di vista religioso si festeggia la Solennità della Madre di Dio e si tratta di una celebrazione di precetto che riguarda la maternità della Vergine Maria. L’appellativo di quest’ultima, infatti, è “Thetokos”, cioè “Colei che ha generato Dio”. Su questo nome, nei tempi antichi, non mancarono accesi dibattiti tra chi reputava Maria solo Madre di Gesù (primo fra tutti il Patriarca di Costantinopoli Nestorio 381-451) e chi voleva chiamarla Madre di Dio. La contesa si risolse durante il Concilio di Efeso nel 431, quando si stabilì il dogma secondo il quale la Vergine può e deve essere citata con il nome Madre di Dio, poiché ha dato vita a Dio che si è fatto uomo, cioè a Gesù che possedeva in sé la natura umana e quella divina. Nel 1931 papa Pio XI (1857-1939, eletto nel 1922), nell’enciclica “Lux Veritatis” ribadì l’importanza del dogma della maternità mariana e promulgò la festa liturgica del primo gennaio. Nei riti copto, ambrosiano e in quelli orientali, però, la ricorrenza cade in giorni diversi, rispettivamente il 16 gennaio, l’ultima domenica d’Avvento e il 26 dicembre. Il primo gennaio si ricorda anche la Circoncisione di Gesù: se ci riflettiamo bene, anche la circoncisione è un rito di passaggio, di iniziazione per entrare nella comunità (in questo caso ebraica, ma tali riti sono comuni a molte culture). Il Vangelo di Luca ce la descrive così: “Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre. Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore…”.
Oggi il Capodanno è soprattutto un momento di rinnovamento, accompagnato da feste coloratissime, e scaramanzie piuttosto divertenti: tutti noi mangiamo lenticchie, perché l’antica tradizione contadina le associa all’abbondanza e al denaro, così come indossiamo qualcosa di rosso, colore simbolo di fertilità, qualcosa di vecchio per ricordare il passato e qualcosa di nuovo per accogliere il futuro che ci viene incontro (sì, la tradizione è molto simile a quella del matrimonio, altro rito di passaggio e non è certo un caso). Le danze sono presenti da sempre in tutte le culture e non potevano che ritrovarsi, quale emblema della ciclicità della natura e della fertilità, anche nei festeggiamenti di Capodanno, in cui il mondo inizia, pian piano, a risvegliarsi dal lungo letargo invernale. Gli amati e odiati “botti di Capodanno” che, talvolta, sono talmente forti da farci saltare sulla sedia, derivano da un’altra antichissima abitudine secondo la quale i rumori forti sarebbero in grado di scacciare gli spiriti maligni e, nel caso specifico di cui parliamo, spaventare l’anno vecchio e costringerlo, così, ad andare via il più in fretta possibile. Fino a pochi anni fa si usava anche gettare dalla finestra oggetti che, ormai, avevano fatto il loro tempo (scene di fantozziana memoria torneranno alla mente dei più, con relativa lavatrice che piomba sulla mitica Bianchina del ragioniere più sfortunato d’Italia). Oggi, per fortuna, si tende a non usare più le finestre come improvvisati e pericolosi secchi della spazzatura, però rimane l’uso di liberarsi del superfluo per far spazio al nuovo.
Vediamo, ora, i festeggiamenti più famosi nel mondo. In Russia, per esempio, il Capodanno è l’inizio ufficiale delle feste e proprio in questa notte ci si scambiano i regali (il Natale ortodosso è celebrato, dato l’uso del calendario giuliano, il 7 gennaio). Potremmo addirittura dire che per i russi la festa più importante sia proprio quella che coincide con l’inizio del nuovo anno. Le città e i negozi sono già addobbati da molto prima del Natale cattolico e l’atmosfera è proprio quella di un periodo di sospensione e di unione fra due confessioni, quella ortodossa prevalente e quella cattolica. Fu lo zar Pietro il Grande (1672-1725, zar dal 1682) a decidere che il Capodanno dovesse festeggiarsi tra il 31 dicembre e il primo di gennaio, (precedentemente la ricorrenza cadeva il primo settembre) per avvicinare di più il suo Paese alle tradizioni e alla cultura europea che lui tanto amava e ammirava. Pare perfino che lo zar obbligasse tutta la corte a partecipare ai festeggiamenti nella piazza dominata dalla fortezza dei santi Pietro e Paolo, a San Pietroburgo. Chi osava giustificare la propria assenza con una malattia riceveva la visita del medico (una visita fiscale ante litteram, insomma). Se il dottore stabiliva che il “paziente” era sano come un pesce, questi doveva farsi perdonare: Pietro I, allora, costringeva il malato immaginario a bere pubblicamente, come gesto scherzoso, un bicchiere di vodka più grande del normale (molti potrebbero obiettare che non si tratti proprio di una punizione, forse dipende dai punti di vista, comunque anche per chi è avvezzo all’alta gradazione alcolica, vista la quantità, non doveva essere proprio un gioco innocente). In Russia, inoltre, si festeggia anche una ricorrenza che agli occhi degli stranieri appare piuttosto strana: il Capodanno Vecchio o Vecchio Anno Nuovo. Nella notte tra il 13 e il 14 gennaio, infatti, i russi ricordano il Capodanno ortodosso legato al calendario giuliano (ormai praticamente in disuso). Non è una festa ufficiale, non è un giorno di vacanza, benché la tavola sia addobbata a festa. Più che altro è un modo per mantenere vivo il legame con tradizioni ancora molto sentite dai cittadini e a cui questi ultimi proprio non vogliono rinunciare, affermando, così, la loro identità russa. In Spagna, a mezzanotte del 31 dicembre, si mangiano 12 chicchi d’uva, in onore dell’anno trascorso, mentre in Giappone si beve sakè, si visitano i templi per pregare ed esprimere desideri per il nuovo anno e si fanno le pulizie per liberarsi dagli oggetti e dalla polvere del passato.
Il Capodanno cinese merita una menzione a parte. E’, probabilmente, una delle feste più conosciute a mondo e coinvolge non solo la Cina, ma anche Corea, Vietnam, Bhutan, Nepal, Sud Est asiatico e Mongolia e lo stesso Giappone, sebbene in quest’ultimo ci sia già un vero e proprio Capodanno giapponese (quello cinese ha perso il suo carattere istituzionale nel 1873, con la Restaurazione Meiji, ovvero la rivoluzione che diede di nuovo pieni poteri all’imperatore, riformando la politica e la società giapponesi). Generalmente la festa dura due settimane e cade nel secondo novilunio dopo il solstizio d’inverno, cioè tra la fine di gennaio e la fine di febbraio, dal momento che parliamo di una scansione lunare dei mesi. Molti di noi sanno che a ogni anno, secondo l’astrologia cinese, corrisponde un segno zodiacale (per esempio, nel 2016, anno della scimmia, il Capodanno si festeggerà l’8 febbraio, mentre nel 2015, anno della capra, è stato ricordato il 19 febbraio), mentre per noi lo zodiaco (sempre composto da 12 simboli in entrambe le culture) si alternano mese per mese. Ciò significa che, nel Capodanno cinese, il rinnovamento è anche astrologico e tutti i nati in un determinato anno apparterranno allo stesso segno. La leggenda narra che in tempi remoti, in Cina, esisteva un mostro di nome Nian, una specie di leone che, all’inizio di ogni nuovo anno, usciva dal suo nascondiglio per mangiare bambini e, in generale esseri umani. I suoi punti deboli erano i rumori forti e il colore rosso, che il terribile Nian proprio non tollerava. I cinesi, allora, iniziarono a festeggiare il Capodanno facendo largo uso del rosso, di fuochi d’artificio, musica, balli, canti per tenere lontano il feroce nemico. Oggi, nella Repubblica Popolare Cinese, i festeggiamenti sono estremamente ritualizzati e scanditi alla perfezione, giorno per giorno. Benché le celebrazioni durino due settimane, come abbiamo già visto, le normali attività si fermano solo per i primi giorni, che variano da zona a zona (per esempio in Cina sono festivi i primi tre giorni, in Malesia solo il primo).
Il primo giorno ogni casa deve essere già pulita, perché l’atto di eliminare lo sporco sottintende il fatto di cacciare via dall’abitazione gli spiriti cattivi e la sfortuna, lasciando spazio alla buona sorte. Pulire dal primo giorno di Capodanno rischierebbe di allontanare, quindi, i buoni presagi appena arrivati. Le strade sono dominate dalla tradizionale sfilata della “danza del leone”, la quale ricorda proprio il mostro Nian. La più popolare “danza del drago”, eseguita non solo a Capodanno, ha una natura diversa rispetto a quella del leone, poiché ricorda e invoca il drago, considerato un simbolo da rispettare ma non da temere e associato alle dinastie regnanti fin dal XII sec. a.C. Il secondo giorno si onorano gli avi defunti, commemorazione che durerà anche nel terzo e quarto giorno e le spose fanno visita ai loro genitori. E’ interessante menzionare il nono giorno, dedicato al Puro Imperatore di Giada, che è il sovrano del paradiso secondo il pantheon cinese. Gli imperatori della Cine non furono altro che l’emanazione terrena del Padre Cielo (altro nome dell’Imperatore di Giada). Ci sono moltissime leggende legate alla somma autorità della mitologia cinese e una sostiene che sia stato proprio lui a scegliere gli animali che compongono lo zodiaco, dedicando a ognuno un anno. L’imperatore di Giada decise, infatti, che sarebbe tornato a prenderli per portarli dalla terra al cielo, ma il giorno prescelto l’unico a non presentarsi fu il gatto, subito sostituito con il maiale. Il bellissimo animale aveva chiesto al topo di avvertirlo quando l’Imperatore fosse giunto, ma il perfido ratto, geloso della bellezza felina, non mantenne la promessa. Da quel momento, secondo la leggenda, nacque l’inimicizia mortale tra gatto e topo. I cinesi usano, durante il periodo del Capodanno, scambiarsi buste rosse con dentro del denaro (anche qui bisogna rispettare una rigorosa numerologia basata sui numeri porta fortuna e i numeri nefasti, assolutamente da evitare), mentre le case vengono addobbate con oggetti raffiguranti animali come il pesce, di buon auspicio e cartelloni o quadri recanti frasi beneauguranti scritte secondo la raffinata arte della calligrafia cinese.
Per concludere questa breve trattazione, non può mancare il Capodanno islamico. Per i musulmani il primo mese dell’anno si chiama “Muharram” (uno dei 4 mesi sacri per la religione islamica); da notare la radice della parola che esprime l’idea di proibizione, poiché in questo mese è proibito iniziare o continuare guerre. A tal proposito il Corano dice: “Ti chiedono se è lecito combattere nel mese sacro. Rispondi: “Combattere in quel mese è peccato grave…” (sura 2, 217); “In verità dodici è il numero dei mesi presso Dio secondo il Libro di Dio, fin dal giorno in cui Egli creò i cieli e la terra. Quattro mesi sono sacri…non fate torto a voi stessi violandoli” (sura 9, 36). Durante il mese di Muharram gli Sciiti commemorano la morte al Husayn ibn Ali, il nipote del Profeta, figlio di Fatima (figlia di Maometto) e di suo marito (e cugino di Maometto) Ali. Husayn venne ucciso con tutta la famiglia (unico superstite un figlio, Ali Zayn al-Abidin) durante la battaglia di Kerbala nel 680, dall’esercito omayyade fedele al Califfo Yazid ibn Mu’awiya. Il nipote del Profeta, infatti, rivendicava per sé, per evidenti motivi dinastici, il Califfato, ma la sorte non fu con lui. Per i Sunniti si ricorda, invece, la nascita e la storia di Adamo ed Eva e l’edificazione della Ka’ba. Tale festa, a seconda del luogo e della fusione con usanze locali, può assumere un aspetto più triste e austero, oppure più allegro, dato anche il diverso valore che ha per Sunniti e Sciiti. La commemorazione, poi, raggiunge il culmine con la “Ashura”, il 10 del mese di Muharram. Non è obbligatorio digiunare in questi giorni, contrariamente a ciò che accade durante il Ramadan. Alcuni studiosi islamici non amano definire questo momento “Capodanno musulmano”, poiché secondo la loro opinione non c’è nulla che ricordi la fine dell’anno occidentale. Anche in questo caso, poiché i musulmani hanno adottato un calendario lunare, le festività non cadono sempre nello stesso momento rispetto alla scansione del calendario gregoriano. Ogni cultura festeggia il Capodanno in modo diverso, secondo usanze, leggende e ricorrenze che hanno un preciso senso, una valenza in cui interi popoli si riconoscono. Ciò che rimane comune quasi a tutti è la voglia di cambiamento, di superamento del presente in attesa della realizzazione di un desiderio futuro. Forse in questo sta il vero significato, la reale essenza del Capodanno e della sua storia: nella promessa che facciamo a noi stessi (poco conta che sia pubblica, l’importante è che sia sentita da chi la formula) di evolvere, di migliorare, perché solo nel movimento vi è vita e nel passaggio da un anno al successivo vi è lo scorrere inesorabile del tempo che segna la nostra esistenza.