La danza del ventre, a dispetto dei pregiudizi duri a morire, ha una storia antichissima e una tradizione che si è evoluta nel tempo, non disdegnando contaminazioni con altri stili che sono divenuti dei veri e propri sincretismi culturali e non solo tecnici. Nell’immaginario collettivo, purtroppo, tale danza è associata a balletti talvolta non proprio raffinati, a un tipo di portamento e abbigliamento che quasi nulla lascia al mistero, suscitando risolini che hanno il sapore dell’equivoco, ma anche dell’ignoranza. L’orientalismo, infatti, ha contribuito moltissimo alla nascita e alla proliferazione di cliché intorno a questo ballo, spesso fraintendendone completamente il significato dei gesti, persino la sua origine e giudicandoli da un punto di vista prettamente occidentale. Uno degli errori più comuni è quello di associare la nascita della danza del ventre all’harem (equivocando, anche in questo caso, la storia, l’evoluzione e la composizione di un harem e ignorandone persino l’etimologia), a una serie di coreografie fatte per intrattenere, lusingare e sedurre il padrone della casa e nulla più. In realtà questa è una visione troppo semplicistica, veicolata da un certo modo “eurocentrico” di guardare all’Oriente. Pur tenendo conto del fatto che un argomento simile, su cui tantissimo è stato scritto e si continua a scrivere, non possa essere esaurito in un articolo, data la natura di brevità su cui quest’ultimo si fonda, cerchiamo di fare ordine, separando le fantasie dalla realtà, i pregiudizi cristallizzati dalla verità. Scopriremo un mondo pieno di sfumature e a tratti sfuggente, difficilmente catalogabile secondo gli schemi di pensiero occidentali, eppure estremamente profondo, serio, fatto di dedizione, tradizione, volontà e, soprattutto, rispetto per la donna. Prima di proseguire nell’analisi delle origini, però, occorre chiarire subito una cosa: di solito questo ballo viene insegnato facendo ricorso all’imitazione dei movimenti. Tale metodo non è certo da rifiutare a priori o totalmente; è normale, in misura maggiore nelle prime fasi, imitare l’insegnante per tentare di orientarsi in un mondo danzante tutto nuovo, ma questo non è che il primo passo. E’ importante, infatti, che le aspiranti ballerine non imitino pedissequamente, ma comprendano da una parte la tecnica del movimento, prendendo consapevolezza dei muscoli coinvolti, dall’altra la natura storica, il significato di quel determinato gesto, della musica su cui stanno ballando. Il lavoro fisico deve essere accompagnato necessariamente da uno culturale; in caso contrario sarebbe come pretendere di imparare una lingua ignorando la cultura, il Paese e, quindi, le abitudini di chi la utilizza. Possibile, forse, ma inutile, vuota esecuzione meccanica. Insomma, non danziamo (o non dovremmo danzare) perché “va di moda” e non scegliamo (o non dovremmo scegliere) un ballo perché “lo fanno tutti”. Dovremmo sentirlo, esseri pronti a studiare davvero, a immergerci totalmente nelle atmosfere create dalla musica e dalle coreografie (piccola nota personale: queste parole non vogliono essere un modo per dare un alone di esclusività alla danza, al contrario: sono un modo per arginare stereotipi ed essere chiari fin da subito sul rigore che serve nello studio di ogni danza, anche in quella orientale. Così imparai io fin dalle prime lezioni, così condivido pienamente con chi ha interesse in questo tipo di disciplina). Fatta questa premessa, è ora di sollevare il velo su questa millenaria tradizione. Il nome originale arabo per danza del ventre è “raqs sharqi”, ovvero “danza orientale” in cui rientrano vari stili e perfino correnti di pensiero attraverso le quali musicisti e danzatrici hanno contribuito allo sviluppo della loro visione di danza, divenuto tradizione nel tempo. In questo articolo usiamo indifferentemente i termini di danza orientale, danza del ventre (coniato in Occidente) e raqs sharqi, esclusivamente per non ingenerare confusione nel lettore, poiché ancora oggi si dibatte sul nome corretto da dare a questo ballo, sul fatto che l’aggettivo “orientale” possa essere troppo vago, per esempio, o ancora ricordando che raqs sharqi è anche il nome di uno stile di danza egiziano molto raffinato (contrapposto al raqs baladi che è il ballo popolare). Di ipotesi sull’origine della raqs sharqi ce ne sono molte, in contrasto tra loro: alcuni studiosi e danzatrici, tra le quali Nagiwa Fuad, sostengono che l’Antico Egitto e, nello specifico, il culto della dea Iside siano la culla di questa danza. Altri, invece, la ricollegano alla civiltà mesopotamiche, in particolare nei rituali che vedono protagonista la dea Ishtar. Di fatto, però, riuscire a ricostruire l’esatta origine della danza del ventre non è impresa facile: le sovrapposizioni storiche e culturali non consentono di distinguere esattamente tutte le prime fasi di sviluppo di questo ballo e servirebbero studi ben approfonditi che, purtroppo, non sono sempre possibili, data l’insufficienza di elementi con cui risalire a tempi più remoti e che possano essere confrontati anche con gli stili più recenti. Possiamo, comunque, asserire che la danza orientale sia uno dei balli più antichi del mondo, connesso con la dea Madre, dunque con la terra, la fertilità e, ovviamente la figura della donna che dà la vita (proprio come dal suolo germogliano piante, fiori, sostentamento dunque). E’ saldo anche il filo che collega questo ballo all’aspetto rituale, religioso degli antichi popoli e, per questo, ben definito e organizzato.
Sostenere, però che la moderna raqs sharqi sia “figlia” di queste antiche danze è un po’ azzardato, poiché le prove a sostegno sono scarse e il percorso evolutivo talmente vasto e complesso da non consentire una presa di posizione tanto netta. Diciamo, invece, che la danza orientale come la conosciamo oggi “discende” non per via diretta dai balli più antichi “antenati” di questa; immaginiamo un albero genealogico fitto di ramificazioni, ossia le trasformazioni fino all’epoca odierna, ma il cui tronco è rappresentato dai primi passi di danza dei popoli vissuti millenni fa (anche qui, comunque, non dimentichiamo che si tratta di una visione schematica e semplificata, poiché anche le civiltà più antiche avevano diversi stili di danza ben codificati e che noi stiamo raggruppando solo per comodità di spiegazione). Per questo, se vogliamo trovare davvero un’origine diretta, più vicina della danza del ventre, come analizzano le danzatrici Gaia Scuderi e Roberta Bongini nel loro libro “La danza del ventre”, (Gremese, 2007) e il regista e studioso di teatro Kassim Bayatly, autore del saggio “Il corpo svelato. Tecnica, storia ed emozioni della danza del ventre” (Ananke, 2005), dobbiamo risalire al periodo del Califfato abbaside (750-1258), ovvero al momento storico in cui l’Islam diventa cosmopolita, multietnico, assommando e rielaborando culture diverse da quella araba, nucleo originario e fondendole con questa. Proprio con i Califfi abbasidi, di cui il più celebre è senza dubbio Harun al-Rashid, si sviluppa l’arte, la poesia, la danza, la musica, ma anche le scienze (ovviamente parliamo di discipline già esistenti in precedenza, che fioriscono e raggiungono l’apice in questa epoca). Dunque la raqs sharqi nasce nelle corti della capitale abbaside Baghdad (ma anche in centri importantissimi come il Cairo) grazie alle note, ai canti e ai versi di donne colte, cortigiane molto lontane dallo stereotipo indolente, passivo, estremamente erotico che registi, scrittori e pittori ci hanno lasciato in eredità. Del resto, in ambienti come quelli, era molto apprezzata l’erudizione, anche per le donne le quali, senza intelligenza, scaltrezza, ambizione e cultura e puntando solo sul fascino estetico, non avrebbero avuto alcuna possibilità di conquistare i vertici del loro mondo (talvolta neppure di rimanere vive, vista la natura intrigante del concetto stesso di corte). Con l’avvento degli Ottomani, nel XV secolo, la danza orientale, come ci spiega Bayatly attraverso i suoi studi, subisce una graduale corruzione espandendosi al di fuori della corte, cioè nei luoghi di divertimento o rilassamento come i bagni turchi. La famosa ballerina e insegnante di danza Maria Strova, nel suo libro “Il linguaggio segreto della danza del ventre” (Macro Edizioni, 2005), oltre a soffermarsi molto sul legame tra danza del ventre e matriarcato, sui simboli legati alla fertilità come l’omphalos, ovvero il centro, l’ombelico che richiama alla Dea Madre e all’essenza femminile, sostiene che nell’harem la danza fosse fatta dalle donne per le donne, ovvero che non servisse a eccitare i sensi dell’uomo, ma unicamente come passatempo all’interno di un luogo chiuso, controllato e le cui ospiti uscivano solo da morte. Si tratta di una teoria interessante, sostenuta da molti studiosi, che completa, in un certo senso, quanto detto da Bayatly. La danza del ventre segue la linea femminile, del matriarcato, persino quando sono gli uomini a governare il mondo, nonostante la discendenza non sia diretta né l’ascendenza sempre rintracciabili con rigore scientifico. Può rimanere a corte e, nello stesso tempo, nascondersi in un harem, dimostrando incredibile vitalità, una linfa mobile, adatta al cambiamento, in grado di percorrere i secoli dividendosi in molteplici rivoli e riunendosi senza soluzione di continuità. Un filo indistruttibile nonostante gli stereotipi pronti a sfilacciarlo, che attraversa l’Ottocento, la nahda, cioè il “risveglio” della cultura araba e islamica, con un nuovo impulso alla creatività dopo secoli di stagnazione e la nascita del femminismo arabo, arrivando, grazie a questa spinta, ai primi anni del Novecento, quando la danza del ventre riconquista una parte dell’onore perduto.
Ballerine professioniste, infatti, iniziano a danzare in locali concepiti proprio per la danza del ventre e l’intrattenimento musicale e hanno l’occasione di esibirsi anche in ricevimenti privati. In questo modo possono far conoscere con successo la loro arte, che si tramanda da secoli. La prima metà del Novecento è conosciuta, dal punto di vista musicale, come Golden Era: è il momento in cui esplode la fama del cinema e delle danzatrici-attrici che conquistano il Medio Oriente, rimanendo nella memoria araba e musulmana fino a oggi. Dobbiamo a queste donne il recupero della tradizione del ballo, la sua rielaborazione e personalizzazione, come pure la serietà con cui a esso si dedicavano, rigore tramandato fino a noi e la capacità di restaurare la reputazione perduta della danza del ventre. Parliamo di vere e proprie dive, punti di riferimento per ogni ballerina nella storia della danza del ventre, di cui è giusto ricordare almeno alcuni nomi celebri: Badia Masabni (1892-1974), di origini libanesi e siriane, è considerata la capostipite, la pioniera della moderna danza del ventre. Trasferitasi al Cairo, riuscì ad aprire un night club nel 1926, il Casinò Badia, strutturato secondo i cabaret occidentali, in cui era un grande onore potersi esibire, un modo per presentarsi al grande pubblico, conquistando in pochissimo tempo le luci della ribalta. Badia Masabni ebbe l’intuizione di accostare musiche e strumenti orientali a quelli occidentali durante gli spettacoli (show in cui, perlopiù, si improvvisava) e passi di danza figli della tradizione araba con quelli figli della tradizione europea (a tal proposito Badia Masabni fece venire nel locale dei ballerini russi di danza classica). Sembra persino che sia stata lei la prima a usare il velo nelle coreografie. L’egiziana Samia Gamal (1924-1994) ebbe una vita sentimentale e una carriera intense. L’incontro con Badia Masabni le consentì di divenire una ballerina professionista. Si racconta che la sua prima esibizione nel locale della Masabni fu un vero disastro; Samia, però, decise di rientrare subito in scena e, non si sa per errore o per sua volontà, iniziò a danzare a piedi nudi, divenendo la prima danzatrice del ventre a fare ciò. Si innamorò del musicista Farid al-Atrash che, però, non poté sposarla a causa dell’opposizione della sua famiglia, che non considerava Samia la donna adatta a lui, soprattutto a causa di differenze sociali. Samia venne nominata “danzatrice nazionale d’Egitto” dal re Faruq nel 1949 e nel 1950 si stabilì a New York. Si sposò due volte ed ebbe una figlia. Nel suo modo di ballare accentuava raramente i movimenti, preferendo gli arabesque. I suoi movimenti erano fluidi, oscillanti e ininterrotti, mai ostentati. Alcuni sostengono che fu lei a introdurre il velo nelle coreografie e non Badia Masabni. Tahiya Karioka (1919-1999), egiziana, fu grande amica di Samia Gamal, benché qualcuno sostenga, ancora oggi, che la rivalità covasse sotto la cenere. Tahiya si formò, come tutte le grandi star della Golden Era, nel club della Masabni, la quale intuì subito l’enorme potenziale della giovane. Girò più di centoventi film, danzò perfino per il matrimonio del re Faruq e venne soprannominata “la Marilyn Monroe del mondo arabo” per i suoi personaggi da femme fatale, seduttrice e diva. Il suo stile era aggraziato, elegante, ogni gesto perfettamente misurato. Tayiha, del resto, aveva studiato le antiche danze egizie ed era consapevole del profondo significato di ogni suo movimento. Si sposò ben quattordici volte, ma non poteva avere figli, così adottò una bambina. Questi sono solo tre esempi di donne che affascinarono il pubblico e gli intellettuali della loro epoca. Tre donne determinate, intelligenti, belle ed estremamente professionali. Sono ancora oggi un modello per tutte coloro che vogliano avvicinarsi alla danza orientale o che abbiano già un cammino di formazione alle spalle. All’inizio di questo articolo abbiamo parlato dell’importanza di fare proprie e comprendere davvero, attraverso il corpo, le movenze della danza del ventre. Ciò si rende necessario soprattutto nel momento in cui studiamo un particolare stile. Vediamone alcuni, per capirne meglio la provenienza e le peculiarità su cui si basano ed essere ancora più consapevoli di quanto la storia e la tradizione della danza del ventre siano fondate sul cambiamento, sulla vivacità culturale e la sperimentazione. Sharqi: ne abbiamo accennato prima; si tratta dello stile egiziano classico, caratterizzato per l’eleganza e la sinuosità dei gesti. Baladi: anche questo già nominato in precedenza, è lo stile più recente e popolare, caratterizzato dal connubio tra sonorità tradizionali provenienti dalle aree urbane e quelle provenienti da Occidente (infatti si usano strumenti come la tablah, un tamburo, insieme al sassofono, per esempio). Era la danza delle persone che si spostavano dalle campagne alla città ed esprime proprio le loro emozioni oscillanti tra timore e speranza in un futuro migliore. Dal punto di vista cronologico, quindi, si origina tra gli ultimi anni dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento. Sha’abi: stile popolare proveniente, stavolta dalle aree rurali che, in origine, si svolgeva durante le festività ed erano contadine o zingare a ballarlo. I movimenti, contrariamente allo stile sharqi, sono molto più evidenziati. Questi sono gli stili più comuni e conosciuti, ma rappresentano anche categorie all’interno delle quali si sono evoluti altri stili e varianti tutti riconducibili alla matrice originaria. Pensate che esistono balli diversi, per esempio, di regione in regione all’interno di una stessa nazione. Altre danze famose sono il saidi, che nasce nell’Alto Egitto dalle arti marziali tahtib e si danza con un bastone che viene mosso in maniera coreografica, in ricordo delle antiche battaglie.
La raqs al-shama’dan sono certa che l’avrete vista da qualche parte, magari in televisione: si tratta della celebre “danza del candelabro”, nata negli anni Venti del Novecento. E’ un antico ballo egiziano in cui serve una grandissima capacità di equilibrio e coordinazione. Oggi si svolge soprattutto durante le cerimonie nuziali, come augurio agli sposi per la loro nuova vita. Ovviamente gli stili sono molti e tutti hanno una particolare ritmica che si impara con il tempo, danzando e anche studiando un po’ di teoria. Insomma la danza del ventre di cui vi parlo è molto lontana dallo stereotipo della danzatrice che ancheggia in modo “selvaggio” poiché si ritiene che basti muovere un po’ i fianchi per essere esperti in questo tipo di ballo. Abbiamo visto che ogni movimento si esegue in un modo particolare (può esistere, talvolta, qualche variante), ha un nome e un significato precisi (meglio specificare questo, per evitare il cliché della danzatrice ancheggiante di cui sopra), corrisponde a una categoria di gesti che possono essere, per esempio, vibranti, oppure oscillanti a seconda del ritmo della musica (le note “parlano” e la danzatrice deve ascoltarle per essere tutt’uno con esse). Essere consapevoli di queste differenze è fondamentale, poiché la danza del ventre può influenzare molto il benessere del nostro corpo. Se non la eseguiamo bene non ne traiamo alcun vantaggio e qualche volta potremmo rischiare di farci male). Il benessere che se ne ricava è psicologico, poiché consente alle donne di prendere confidenza con il loro corpo, di conoscerlo meglio, di liberarsi da qualunque costrizione (fateci caso: gli abiti, gli accessori e le stesse coreografie non costringono il corpo, bensì tendono ad accentuarne le forme). Esistono, però, numerosi vantaggi fisici, a partire dalla corretta postura, dalla posizione precisa di gambe, bacino, schiena e braccia, che si avvertono, dopo un po’ di pratica, nella vita di tutti i giorni, soprattutto in gravidanza. Pensate, poi, alla quiete, alla pienezza che dona la musica, sempre, di qualunque genere sia. La danza del ventre è una disciplina in grado di rilassare corpo e mente, predisponendoli alla creatività, alla risoluzione di problemi in modo nuovo; ballare ci pone oltre il tempo e lo spazio che viviamo, sospesi, lontani dalla quotidianità e, quindi, in grado di vedere le cose sotto altre prospettive. Tahiya Karioka disse: “Ogni danzatrice orientale che si rispetti dovrebbe esprimere la vita, la morte, la felicità, il dolore, l’amore e la collera, ma sopra ogni cosa deve mantenere la propria dignità”. Questa è l’essenza di ogni vera danzatrice, ma anche la filosofia che anima tutta la storia della danza del ventre.
Bibliografia Speciale Danza del Ventre