Per l’iniziativa Racconti di viaggio proponiamo un nuovo racconto, inviatoci da Alberto Sordi.
LE FORMICHE
“Noi siamo come delle formiche…
ci mettiamo in fila gli uni dietro
agli altri per essere distrutti”
Nicolai, Le Formiche.
– Ola, Alberto! Che bella sorpresa; ti sei deciso, finalmente! – esclama Paolo abbracciandomi.
E’ vero, non avevo mai voluto seguirlo nei suoi viaggi, trovavo sempre qualche scusa ma questa volta era diverso, anche se ero partito solo: da troppo tempo non avevo più sue notizie e, temendo gli fosse accaduto qualcosa, ero andato alla sua ricerca.
L’ultima lettera dal Messico era arrivata parecchi mesi fa, scritta su carta intestata dell’Hotel “Las Palmas” di Puerto Càdiz, una cittadina di pescatori sulla costa orientale e il timbro sulla busta confermava il luogo di partenza.
Con in mano quei pochi elementi, una volta arrivato sul posto, ero comunque riuscito a rintracciarlo; si trovava in una posada del Yotedaréo, un sobborgo di Puerto Càdiz.
Si era fermato lì non solo perché rimasto con pochi soldi; strani fatti stavano accadendo da quelle parti: rumori misteriosi nel cielo, trombe d’aria di forte intensità, fantasmagorici colori all’orizzonte, inquietudine negli animali e nelle persone.
Lo metto al corrente del fatto che anche da noi c’è qualcosa di strano nell’aria, di indefinibile, come un’apatia generale mista a un senso di attesa. Attesa di qualcosa che presto dovrà accadere.
***
“Il Fuoco della conflagrazione
è il seme generatore
del mondo che verrà”
Crisippo.
La mattina dopo, accompagnati da Pedro, l’indio che gestisce la posada, ci rechiamo su un colle, dove un tempo si svolgevano cerimonie sacre, dal quale si ha un’ampia visione del panorama circostante.
Dietro di noi un paesaggio brullo che sfocia nel deserto, davanti invece il paesaggio brullo termina verso le prime case di Puerto Càdiz. Oltre le case l’immensità dell’Atlantico, l’Infinito.
Ma tutto attorno si ha la sensazione dell’Infinito, è per questo, spiega Pedro, che i suoi antenati consideravano l’altura un luogo sacro, in comunicazione col Cielo, dove si potevano avere visioni. Mi fa notare, a questo proposito, un simbolo inciso su una parete di roccia che rappresenta una forma semiumana, un ibrido tra l’uomo e il cactus, che rivolge le braccia al cielo; un cielo gremito di strani oggetti a punta.
– Il cactus teonanàcatl, o carne divina, unisce il nostro mondo a quello degli Dei, – continua l’indio – chi ne ingerisce il frutto supera la condizione umana e penetra nella loro sfera. Ma è pericoloso farlo senza aver ricevuto una particolare iniziazione; gli sconsiderati finiscono preda della follia. –
– E quelle cose sopra la figura? – domando.
– Sono i veicoli degli Dei; quando finisce un ciclo cosmico essi oltrepassano la soglia dell’Antimondo e dalla costellazione di Orione entrano nel nostro universo per distruggerlo; allora i loro carri solcano i cieli e lanciano il fuoco sulla Terra. Adesso il mondo è stanco e isterilito, è stato rotto l’equilibrio naturale e il caos ne è una conseguenza; gli Dei dovranno di nuovo superare la soglia per rinnovarlo.
Possiamo salvarci dalla distruzione solo facendoci iniziare da uno sciamano; una volta varcate le Porte della Percezione ed entrati nell’Altra Parte saremo salvi e potremo tornare ad abitare nel mondo rinnovato. Mio padre, Don Juan, vive nel deserto, ed è uno dei pochi sciamani rimasti a custodire le nostre tradizioni segrete. –
Se Paolo asserisce che in questi ultimi giorni i rumori nell’atmosfera si sono fatti più forti e luci intermittenti sono comparse in cielo, penso proprio che ci troviamo alla vigilia di un evento risolutivo.
***
Stanotte non riesco a dormire, mi sveglio continuamente di soprassalto riflettendo sul racconto di Pedro. Quei rumori fortissimi, quei tuoni, possibile che nessuno sia ancora venuto a capo di questi fenomeni? E se l’indio avesse ragione? E se invece volesse trascinarci nel deserto per farci diventare succubi delle sue superstizioni?
Paolo è sicuro delle affermazioni di Pedro ma io appena arrivato dall’Europa non so cosa pensare delle antiche credenze di questi popoli in merito ai cicli dell’Universo e alla sua periodica morte e rinascita. Noi che crediamo alla storia lineare e al progresso non riusciamo a entrare in questa mentalità.
Mi riesce poi difficile concepire che per evitare l’entropia di un mondo consunto e decadente delle divinità debbano rinnovarlo facendolo perire nel fuoco per poi farvi riemergere la vita nel suo pieno rigoglio, anche se questo potrebbe ricordare le teorie di Eraclito e degli Stoici. Non posso nemmeno concepire un mondo in mano agli Dei e al destino ma i rumori aerei sono sempre più forti e mi martellano il cervello. I letti di Paolo e Pedro sono vuoti; mi munisco di una torcia ed esco a cercarli; senz’altro sono sull’altura per meglio osservare questi fenomeni. Ora però tutto sembra essersi calmato improvvisamente. Arrivato sul colle vedo che osservano attentamente il firmamento senza neanche fare caso alla mia presenza; improvvisamente un boato più forte di quelli sentiti prima ci fa trasalire: è come se in cielo fossero passati titanici convogli, come se un treno di giganti avesse infranto il muro del suono innumerevoli volte assieme. E’ ormai l’alba e uno spettacolo indescrivibile per la sua portata si offre ai nostri occhi stupefatti: il cielo è pieno di oggetti a punta, simili ai campanili delle chiese, con grossi oblò multicolori ai fianchi e un sottile pennacchio di fumo che fuoriesce da dietro; si muovono apparentemente a caso in tutte le direzioni, la terra trema per il rumore assordante che fanno; sembra quasi si stia svolgendo una battaglia perché tra la confusione possiamo notare che vari ordigni si dissolvono in nubi azzurrine, molto prima di cadere a terra.
Quei “campanili” quanti chilometri saranno lunghi? Come si muovono agilmente, però! Da diversi oggetti vengono giù delle rocce simili a meteoriti. Vediamo la gente fuggire dall’abitato e correre verso l’altura; le rocce, probabilmente per effetto dell’atmosfera, o perché composte di materiale leggerissimo, si disintegrano sopra di noi producendo una pioggia di scintille che ci costringe a cercare rifugio in un’apertura lì vicino. Intanto sono arrivate alcune persone e restano mute a osservare. E’ una scena grandiosa, siamo tutti convinti della sua sacralità e pur fremendo ogni volta che cadono quei bolidi non apriamo bocca. Solo Paolo guarda intrepido.
***
Luci abbaglianti scoppiano nell’aria, un brivido mi coglie, un’idea terribile si fa strada nella mia mente: gli Dei sono in quei campanili giganteschi e non si curano affatto di noi; per loro siamo solo formiche e formicai le nostre città. E’ per questo che con noi hanno avuto solo contatti casuali, senza mai manifestarsi pienamente. Chissà quale sarà il loro aspetto! Quello che rappresentano tutte le sculture maya e azteche o le statue dell’Asia è senz’altro solo una pallida sembianza di questi esseri inconcepibili. Incuranti, abbiamo sempre calpestato e distrutto i formicai, sterminato le formiche con gli insetticidi o le abbiamo catturate per studiarne le abitudini, non sapendo che sopra di noi vi sono Loro che ci considerano alla stessa stregua. Loro, che non conoscono il bene e il male, un tempo erano particolarmente temuti dagli amerindi i quali tentavano di ingraziarseli con inutili ecatombi umane! Questa è la terribile verità. E ogni attimo della mia esistenza futura lo vivrò con questa consapevolezza; è finito il nostro orgoglio antropocentrico, credevamo di essere il coronamento della Creazione, i padroni del mondo, i conquistatori del Cosmo e invece sopra di noi … Loro! E, nel mio delirio, continuo a pensare: e sopra di essi? E sopra ogni cosa? Siamo formiche, formiche e basta.
***
“Guardiamo verso l’alto,
ma poggiamo i piedi sulla sabbia,
e la terra sprofonderà,
e cadremo guardando il cielo”
Pascal
Ora, seduto sulla comoda poltrona di un aereo di linea che mi sta portando a casa, sto meditando su quanto è accaduto. Non dovevo comunque abbandonare così in fretta Puerto Càdiz; ma perché Paolo è voluto rimanere? Perché ha deciso di recarsi con Pedro nel deserto, in un pueblo abbandonato?
Attorno c’è un’atmosfera di disfacimento: ogni parte metallica del velivolo è leggermente arrugginita, i seggiolini sono consumati, hanno i bordi lisi. Gli altri viaggiatori stanno dormendo, una hostess sciatta, dall’aria annoiata, comincia a servire la cena; le posate sporche, i vassoi ricoperti da una patina di polvere, sembrano risalire a epoche antiche. Ho la sensazione che da quando ho lasciato l’Italia il mondo sia invecchiato di secoli.
Intanto i passeggeri si sono svegliati; i miei sensi devono essersi acuiti dopo quell’esperienza, perché avverto che non notano nulla e cominciano a mangiare in silenzio, con movimenti lenti e controllati, quasi robotici; ognuno sembra chiuso in un mondo a parte.
Il cibo è scarso e pessimo ma nessuno sembra farci caso. Comincio a vedere ogni cosa come da una lontananza remota; una nebbia si interpone tra me e la realtà esterna. E l’aereo prosegue la corsa tra le tenebre di un cielo senza stelle …
Alberto Sordi