C’è un Paese (purtroppo non è l’unico) dove le donne contano meno di niente e dove una ragazzina rischia di essere stuprata in autobus da uomini senza volto che si aggirano per le strade seminando morte. Ma questo è anche il Paese della gioia e della cortesia, descritto da narratori e reporter che hanno fatto conoscere i costumi e le abitudini di questa terra al resto del mondo, rendendola ancora più affascinante, unica. Da visitare. Questo Paese è l’India. Traendo spunto dai recenti fatti di cronaca nera, ci siamo avvicinati – quasi in punta di piedi, senza giudicare ma solo con la voglia di raccontare – a questo popolo dalle molteplici sfaccettature, dai volti variegati e dai colori sfavillanti, eppure così contraddittorio, così incomprensibile. Ce lo facciamo descrivere da chi l’ha guardato con la mente non del turista ma del curioso viandante.
Vittorio Russo, autore del libro “L’India nel cuore”, edito da Dalai editori, non nasconde la propria emozione quando gli chiediamo di parlarci di questo Paese che, dice, «si caratterizza per le bellezze storiche, architettoniche e naturali, alle quali si aggiunge un costante atteggiamento di sacralità, che è l’anima di quel popolo». «La spiritualità è intesa come indagine, ricerca di se stessi negli angoli più bui della propria natura, un po’ come facevano nel Medioevo Francesco d’Assisi e Iacopone da Todi». Ma l’India, precisa Russo, «siccome ha subìto nel corso dei secoli continue invasioni straniere, è un agglomerato di gruppi etnici, con tradizioni millenarie e diverse. Basti pensare che, per comunicare tra loro, gli indiani parlano spesso in inglese perché se utilizzassero la lingua madre non si capirebbero». Russo poi precisa che «la società indiana si suddivide in quattro caste principali che a loro volta si frammentano in caste minori». «E’ un Paese affascinante, dove purtroppo dilaga la povertà. Infatti, non è raro incontrare bambini che con gli occhi piedi di gioia ti guardano senza avere alcuna consapevolezza di se stessi – continua lo scrittore partenopeo -. Per loro, una piccola caramella ricevuta da un passante occidentale diventa un dono straordinario da dividere magari con un coetaneo. Sono scene dolci, ma anche tanto dolorose».
C’è diversità e poca uguaglianza non per le leggi, che sono democratiche, ma a causa delle tradizioni, le quali, sostiene Russo, «subordinano la giurisprudenza che nella stragrande maggioranza dei casi non ha alcun valore».
«La condizione della donna è uno dei paradossi della cultura indiana – narra lo scrittore -. La società è maschilista. E, mentre da un lato ci sono figure femminili, come la Gandhi, che si stanno distinguendo, dall’altro molte sono le mamme e le figlie di questo Paese che vivono in una condizione disperata. Una neonata, se sopravvive agli innumerevoli aborti, è considerata una sventura e, crescendo, il suo unico obiettivo sarà il matrimonio. La sposa spesso ha undici anni. Viene “venduta” a una persona che non conosce mediante un contratto sottoscritto dai genitori dei futuri coniugi; marito e moglie s’incontrano solo il giorno delle nozze». L’altro aspetto drammatico è la percentuale elevata di aborti spontanei: «Queste spose-bambine sono così giovani che non riescono a portare avanti le loro gravidanze – continua Vittorio Russo -. Si calcola che ogni 20 minuti muore una donna in India, per stupro, aborto o altre ragioni. Un fatto drammatico».
Altro aspetto da sottolineare è la condizione della vedova che «non ha diritto a nulla; quando il marito muore, non può parlare per un anno con i suoceri, le vengono tagliati i capelli e perde tutta la sua dignità di essere umano, perché in India la donna ha il diritto di esistere solo in funzione di un uomo». Scomparso il marito, scompare anche la moglie. Infatti, sino al 1829 (anno in cui la pratica del Sati fu proibita dalla legge), le vedove, per tradizione, si gettavano sul rogo ardente insieme al coniuge scomparso, sotto lo sguardo dei parenti che approvavano questo gesto perché ritenuto un atto di fedeltà della moglie al consorte scomparso.
«Il sacrificio del Sati affonda le sue radici nella mitologia indiana e da quel che mi risulta, nonostante sia proibito, viene praticato ancora oggi in alcuni villaggi», afferma Russo.
Gli chiediamo degli stupri, a cui i media internazionali stanno riservando molto spazio: «La violenza sulle donne è una costante in India, ma ciò che stupisce il mondo è la reazione degli indiani che per la prima volta si stanno ribellando. Si tratta di pochi gruppi che però fanno molto rumore. C’è una Nazione giovane che ha voglia di crescere e che comunica, mediante internet, con il resto del mondo conoscendo così realtà diverse. Ma il fenomeno è duro da abbattere, perché l’induismo è una religione maschilista che ha penalizzato le donne, le quali non sono coinvolte in quella ricerca di sé di cui parlavo prima; una prerogativa esclusivamente maschile», conclude Russo.
L’India è dunque un Paese dalle mille sfumature che gradualmente cercheremo di conoscere…
Maria Ianniciello