La nenia arabeggiante di una voce impregnata di pittoresca nostalgia avvelena l’aria di inutile dolore.
Riafferro il mio respiro, trascinato a mia insaputa da seduttive spirali cariche di oblio, distratte solo dalle nuvole del cielo. Ogni cosa sembra appartenermi, niente mi diventa estraneo, riesco a insinuarmi in tutte le speranze abbandonate, che per mistero si fanno subito certezze.
Un’euforica ebbrezza invade la memoria, che osserva il mio universo disgregato di spezzoni di illusioni, assente ormai per sempre la particella divina che li trasformava in anima e sangue di persona.
Il pavimento ondeggia di basoli sconnessi: infinite le asimmetrie capaci di rendere sconnessa perfino la postura. Profumi prepotenti, imposti all’odorato dalla vista bramosa di sapori suggeriti, stringono i visceri nella mancanza sensuale del piacere ormai assaporato dalla mente. Meraviglie seicentesche, annerite dallo smog cancrenoso di vetture istupidite dal miraggio del presente, accarezzano lo sguardo; rami assoggettati alla potatura della vita avanzano nell’aria come schegge di corpo un tempo unite. Solo un velo mi ricopre, fatto di marmo diventato eterno; nella mente s’affaccia il Cristo velato della famosa cappella, corpo di tutte le creature, che si offre e si nasconde, mentre la sua offerta è anche il suo nascondimento.
Non sono, eppure sono. Se Heidegger ieri mi sembrava un imbroglione del pensiero, mentre con parole fuligginose dissacrava quell’autorevole Aristotele che per secoli ha nutrito l’occidente, oggi comprendo l’enigma di quel nascondimento che testimonia l’ ”esserci” dell’ente che afferra l’essere affinché gli scivoli di mano. Schegge di vita traslocate in altri luoghi, sparpagliate su una scacchiera priva di necessaria geometria, catapultate in un tempo dal sapore sconosciuto. Non qui, non ora.
Disinibiti spettacoli ingordi di piaceri afferrano le cose e l’esistenza; forme incuranti di ogni dignità legata alla bellezza avanzano nell’aria profumata di allegria a reclamare il loro posto nel teatro di un’esistenza personale: disarmonie strutturate in quel piccolo universo, ostentate con la fierezza di chi ignora la tortura del pensiero, alimentate da consuetudini dal sapore di famiglie assai compatte, pronte a ricucire gli squilibri minacciati da improvvisi risvegli di armonia.
Freud, Lacan? Riponiamo i vostri sostituti, ritorniamo lì dove il presente non diventa mai passato, né lo sfiora invano la minaccia del futuro.
Tutto accadde. Ma il presente è ancora qui, in questi luoghi.
Pina Arfè