OGGETTI MIGRANTI DEL MEDITERRANEO

 

“La memoria del mare. Oggetti migranti del Mediterraneo”: questo il titolo della mostra fotografica che si svolgerà dal 6 al 28 febbraio 2013 a Genova, presso la Saletta dell’Arte Galata Museo del Mare Calata de Mari 1. 

L’esposizione, a cura di Anna Chiara Cimoli, è dedicata al Museo della Memoria del Mare di Zarzis in Tunisia ed è stata organizzata nell’ambito della ricerca europea MeLa (European Museums in an age of migrations), che si interroga sul ruolo, il profilo e le sfide dei musei europei, in un’epoca fortemente caratterizzata dal fenomeno della mobilità.

L’obiettivo? Studiare i musei europei senza dimenticare la sponda meridionale del Mediterraneo, chiedendosi quali tracce materiali, quali forme di rappresentazione, quali “luoghi della coscienza” racconteranno l’epopea dei migranti alle generazioni future. Mentre in Europa i musei stanno accogliendo, ormai da anni, la sfida di raccontare il fenomeno migratorio, non esistono musei delle migrazioni in Maghreb, né lungo la riva asiatica del Mediterraneo. Chi parte da queste terre non ha quasi nulla con sé; quel poco viene raccolto e trasportato dal mare. Così, fuori dai circuiti museali canonici ma dentro la logica del raccogliere, catalogare e mostrare che sta alla base di ogni azione museale, si è formata la collezione del Museo della Memoria del Mare di Zarzis. Il museo si trova nel giardino privato di Mohsen Lihidheb, che si definisce “eco artista” e affida al proprio progetto un profondo messaggio di pace e di speranza.

Mohsen da anni percorre il litorale raccogliendo a salvando tutto quello che trova: scheletri di pesci, abiti, scarpe, giocattoli. Migliaia di bottiglie, catalogate una per una, che gli sono valse il Guinness dei primati. E, dopo averlo atteso a lungo, il corpo di un migrante, che ha chiamato Mamadou, che ha fatto seppellire e che non smette di ricordare: il fantoccio di Mamadou, fatto di stracci, sta a guardia del giardino-museo, e benevolmente lo protegge. Il lavoro paziente e umile di Mohsen – figura carismatica di anti-collezionista, tessitore di rapporti, uomo di grande visione – ha colto negli anni la dimensione storica del fenomeno migratorio, e l’urgenza di raccontarlo a partire da oggetti che non ne vogliono sapere di lasciare l’Africa. Il museo racconta questa storia agli africani, e questo ne fa una collezione importante, al di là del suo valore materiale. In un Mediterraneo diviso, conflittuale, concentrato sul presente, chi racconterà la storia dei migranti? Come? Il museo di Zarzis è raccontato negli scatti dei fotografi Alessandro Brasile e Mattia Insolera. In mostra viene anche proiettato il cortometraggio Sacrées bouteilles, del regista tunisino Fitouri Belhiba. La mostra è stata presentata dall’1 al 15 dicembre presso il Museo Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma, dopo essere stata selezionata nell’ambito della “call for ideas” Idee migranti, progetto READ-ME 2, Réseau européen des Associations de Diasporas & Musées d’Ethnographie).

 

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