Al confine tra Algeria, Marocco e Mauritania vi è uno Stato che sembra essere invisibile, una nazione che, pur non essendo presente nelle carte geografiche, viene riconosciuta da oltre 70 Paesi nel mondo: questa è la Repubblica Araba Saharawi Democratica. Prolungamento occidentale del deserto del Sahara questo territorio è totalmente arido; pianeggiante e sabbioso a ovest e collinoso e roccioso a est, è attraversato sporadicamente da rari rivoli che si fanno timidamente strada, quando il sole non ne prosciuga il corso, nelle infinite distese color ocra. Da nord a sud un muro costruito nel deserto racconta, con la sua tacita ma ingombrante presenza, la sofferenza, la violenza e i soprusi che scavano i volti dei più anziani dei saharawi, quelli che quel muro di sabbia, mine e sassi lo hanno visto elevarsi e scorrere per circa 2.400 Km. Tralasciare l’esistenza di questo muro, secondo per lunghezza alla sola Muraglia Cinese, non renderebbe giustizia a quei luoghi e a coloro che li popolano.
L’infinita barriera gialla separa una cospicua fetta di terreno – occupata illegalmente dal Marocco – dalla parte liberata dal Fronte Polisario, movimento di liberazione del popolo Saharawi nato durante la colonizzazione spagnola di queste stesse terre. Il 1975 fu infatti un anno carico di fatti che delineano ancora oggi la situazione geo-politica del Sahara occidentale: avendo fatto evacuare militarmente e civilmente gli spagnoli, il Marocco, insieme alla Mauritania, diede il via all’invasione dei luoghi dei Saharawi costringendoli all’esodo verso l’Algeria nel deserto dell’Hammada de Tindouf, uno dei punti più ostili della terra fatto di pietra e sassi. Coloro che restarono, compresi donne, anziani e bambini, furono sottoposti alla repressione marocchina in una prigione a cielo aperto. In questi anni non si è ancora giunti a un punto di svolta nonostante l’Onu sia intervenuta nel 1991 con una risoluzione che prevedeva diversi provvedimenti tra cui lo svolgimento di un referendum di autodeterminazione del popolo Saharawi. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ci ha chiarito che «tutt’oggi il referendum non è avvenuto perché da parte del Marocco non vi è la volontà politica di far sì che abbia luogo»; l’argomento che è stato costantemente sollevato dalle autorità marocchine riguarda il numero delle persone aventi diritto a votare. Del resto questo è un tema contestato anche da parte dei Sarahawi perché sia da un lato e sia dall’altro si pensa che l’avversario voglia modificare il numero degli aventi diritto per ottenere un determinato risultato. «La situazione oggi – continua Noury – è legata all’eredità delle passate violazioni e fino a quando non verrà fatta luce sulla sorte delle centinaia e centinaia di persone scomparse di cui ancora non abbiamo recuperato traccia, lo stato di salute dei diritti umani non sarà buono.
Negli ultimi anni si registra ancora una situazione negativa per l’impossibilità da parte dei saharawi di poter manifestare senza essere repressi dalle autorità marocchine». Alla domanda Perché ciò che accade nel Sahara occidentale ha così poco eco mediatico? Noury risponde che «vi sono due spiegazioni, una innocente, e forse oggettiva, che vede l’attenzione dell’opinione pubblica concentrarsi su situazioni più gravi, come quella libica, l’altra, meno candida, considera le relazioni che intercorrono tra il Marocco e i Paesi occidentali i quali si dimostrano indulgenti con il primo poiché loro partner commerciale, garante della stabilità dell’area sahariana e importante ai fini della gestione dei flussi migratori verso la Spagna». Il popolo Saharawi, originato dal mélange di berberi, arabi e africani, predica l’apertura e si fa portavoce di un messaggio di tolleranza nonostante molte famiglie e tanti legami d’amicizia siano stati spezzati per sempre dalla fisicità di un muro infinito.
Precarietà e sacrificio caratterizzano le giornate a Tindouf, l’assenza di elettricità e la scarsità dell’acqua non ostacolano la perfetta organizzazione degli accampamenti: scuole, ambulatori, pozzi per l’acqua e orti trovano spazio nelle tendopoli, aree dove poter coltivare il desiderio di libertà e di resistenza nell’esilio. I campi saharawi sono gli unici in Africa a essere interamente gestiti dalla popolazione, in particolare dalle donne, le più avanzate del mondo mussulmano. Medici, insegnanti e deputate, queste indossano abiti sgargianti e palesano una viva determinazione negli occhi addomesticando un ambiente ostile, ma non invincibile, attraverso i loro sforzi. Un muro, che delimita illegalmente un territorio ricco di fosfati, coste pescosissime e giacimenti di petrolio, ha luogo in Africa e ci parla di ingiustizia, arroganza e diritti violati ma, nello stesso tempo, ci ricorda che in quelle terre c’è uno Stato che ha diritto di esserci poiché il suo popolo si identifica in esso lottando nella non violenza.
“Carissimo, tu sei sedentario per vocazione e mi domandi spesso perché viaggio. Ci ho pensato molte volte e adesso, dopo aver attraversato il Sahara in tutta la sua lunghezza, credo di poterti finalmente dare una risposta soddisfacente”.
Alberto Moravia da Lettere dal Sahara
Elisabetta Severino
- L’immagine di copertina è di Christian Tasso, dal sito osservatorioiraq.it