Guardando “Allegiant”, il terzo film della serie cinematografica “The Divergent”, ci sembra di essere su un altro pianeta. L’ambiente rossastro della periferia rievoca quel capolavoro che è “Sopravvissuto – The Martian”, con uno straordinario Matt Damon, ma di quest’ultimo “Allegiant”, a parte la scenografia, ha ben poco ovviamente perché dal film di Ridley Scott si differenzia per contenuto e genere.
Alleggiant, film: trama e recensione
Il nuovo capitolo di “The Divergent”, tratto come gli altri dalla saga letteraria di Veronica Roth, è una giostra di effetti speciali gradevoli solo per la vista perché in tutta la pellicola manca quel pathos necessario a elettrizzare lo spettatore, rendendolo parte attiva. Invece purtroppo chi guarda è passivo: l’eroina, consapevole ormai della sua forza, è come disincantata.
Non ci fa battere più il cuore, com’era riuscita a fare nel primo film con i lunghi capelli e la curiosità di una bambina, né ci colpisce per tenacia e consapevolezza come nel secondo atto; qui la storia d’amore tra lei e Quattro diventa stucchevole, indigeribile, finta, di cartapesta come tutto il lungometraggio.
Badate bene, però, “Allegiant” non vi annoierà, perché lo spettacolo tiene alta l’attenzione. Eccome se la tiene! La città di Chicago è una sorta di Grande Fratello; scopriamo, infatti, che essa è il frutto di un esperimento gestito da un personaggio ambiguo, simbolo del potere e della forza che osserva gli uomini e le donne della metropoli. Oltre la recinzione si va verso il futuro, in un pianeta post-apocalittico fatto a pezzi dall’umanità, dove vivono individui suddivisi in puri e danneggiati.
La storia, dunque, si ripete. Gli umani non possono essere uguali pur mantenendo le reciproche differenze, ma vanno categorizzati. A oltrepassare il filo spinato sono Tris (Shailene Woodley) e Quattro (Theo James), con alcuni Intrepidi, ai quali si aggrega anche il fratello traditore, l’erudita Caleb. La comitiva giunge al Dipartimento di Sanità Genetica, dove il capo, David, convince Tris a fare la «cosa giusta per il mondo», salvo poi scoprire le sue losche carte in corso d’opera. I nostri eroi per evolversi devono, dunque, oltrepassare una siepe simbolica aldilà della quale ci sono molte insidie. Ci si salva grazie alla conoscenza?
Se proprio vogliamo soffermarci sul contenuto, mettendo da parte gli ottimi effetti speciali, possiamo dire che in “Allegiant” ciò che conta è l’identità individuale attraverso la salvaguardia della memoria, necessaria per poter creare una società più giusta e più equa, la quale cala le differenze dei singoli in un contesto collettivo anziché ghettizzarle. Una città è costituita dopotutto da persone con propensioni differenti e non catalogabili.
La guerra civile con gli ex Pacifici sembra essere l’unica via per ristabilire l’ordine a Chicago, almeno questo è il pensiero della madre di Quattro (Naomi Watts), che sembra procedere nella stessa direzione di Jeanine (Kate Winslet) facendosi annebbiare la mente dall’odio e soprattutto dalla vendetta.
L’alternativa alla guerra a questo punto è una sola: ristabilire le fazioni. Riusciranno Quattro e Tris a impedire che quanto avevamo visto mettere in atto nei due film precedenti con coraggio sia azzerato pigiando un pulsante? Staremo a vedere…