Sarò onesta con voi. Prima di scrivere questa recensione volevo vedere i due prequel di Attacco al potere 3 ma per la mole di impegni non ci sono riuscita.
Ho così rimandato la visione del film nella speranza di trovare un po’ di tempo per vedere le altre pellicole, in modo da individuare differenze e similitudini fra i tre lungometraggi. Di conseguenza, per ovvie ragione, non potrò far riferimento agli altri film e questo articolo esamina solo il terzo capitolo di una saga che rientra in quel filone, non proprio circoscritto, che è il Cinema d’azione.
In Attacco al potere 3 di movimento ce n’è tanto sin dalla prima sequenza, in quella che risulta essere solo un’esercitazione, al termine della quale il contesto viene subito definito: non siamo su un campo di battaglia, in una terra straniera, magari in Medio Oriente.
Siamo in America, la patria della democrazia e delle pari opportunità, come dimostra il colore della pelle del presidente Trumbull (un cognome a caso, eh?), interpretato da Morgan Freeman. Un’America che cerca i suoi avversari oltre le frontiere, in Russia, dimenticando che i veri nemici sono quelli interni.
E di antagonisti Mike Banning ne ha tanti, interiori quanto esteriori. Il personaggio di Gerard Butler, infatti, è un eroe alla nostra portata: ha una commozione cerebrale, fa uso di pillole per il dolore e teme il passato, per questo è alla ricerca di serenità che però il suo mestiere non può dargli.
Mike non è indistruttibile, è solo un uomo, è un eroe in carne ed ossa che viene ferito e che nasconde i suoi tormenti pure a se stesso.
Attacco al potere 3, diretto da Ric Roman Waugh e Katrin Benedikt, nel complesso è un film molto contemporaneo per due motivi: mancano le scazzottate, perché le armi e le esplosioni fanno molta più scena. E, difatti, il Cinema d’azione americano è maestro nel creare spettacolo a volte anche in maniera piuttosto esagerata.
L’altro motivo è tangibile negli inseguimenti. Non c’è un attimo di tregua in questo film. Tutto è veloce e Mike non tira mai un sospiro di sollievo, perché – grazie ad una microtecnologia raffinata – gli inseguitori riescono a geolocalizzarlo in un batter d’occhio.
Venti anni fa il fuggitivo si fermava magari in un’area di servizio senza che poi qualcuno gli puntasse un’arma alla testa e questo in qualche modo rilassava anche lo spettatore. Oggi non è più così. I film d’azione seguono le linee del pensiero contemporaneo, che è troppo ossessivo, molto cerebrale e sicuramente poco naturale.
Per quanto riguarda l’aspetto sociale, possiamo dire che in questo film i padri si sentono colpevoli per ciò che hanno fatto e nei veterani del Vietnam la ferita di una guerra inutile sanguina ancora. Eppure, senza l’insegnamento dei padri, che con i loro errori redimono i figli, le future generazioni non avrebbero speranza.
Per il resto Attacco al potere 3 realizza il suo scopo: fa spettacolo e ci tiene incollati allo schermo. Nonostante una sceneggiatura debole e fin toppo prevedibile. Nonostante i molti cliché, come quello della dolce e accomodante moglie casalinga (mai spettinata e sempre truccata), che aspetta Mike tornare a casa da lavoro, e alcuni riferimenti politici, a volte stucchevoli.
Ma siamo nell’ambito della fiction e del puro spettacolo, quindi non si poteva pretendere di più da un film come questo.
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