La Barbie è stata la mia bambola preferita sino ai primi anni dell’adolescenza. Per me non era solo una bambola. Su Barbie, difatti, proiettavo i miei sogni di bambina e i miei desideri. La mia bambola, dalle gambe molto lunghe, come la chiamava mia nonna, era ricca: aveva una casa da sogno, con vasca idromassaggio, piscina, camper. Faceva la stilista ed era amministratrice delegata di una casa di Moda da lei fondata. Era una leader, con una spiccata tendenza al comando. Suo marito ovviamente era Ken, era benestante, ma non quanto lei. Quando litigavano (accadeva molto spesso), l’uomo lasciava la casa della moglie per andare a vivere in un’abitazione più piccola e comunque lussuosa.
Barbie e Ken se la passavano piuttosto bene: avevano due figli, un maschio e una femmina. Tutti i personaggi di questa serie tv immaginaria ed infinita avevano dei nomi che rievocavano i protagonisti delle telenovelas e delle soap che mia madre, mia zia e mia nonna guardavano con tanto ardore. Eppure, io di quelle donne, tutte molto dipendenti dall’amore, prendevo solo lo stretto necessario, perché sulla mia Barbie proiettavo ambizioni e speranze che andavano oltre il matrimonio, nonostante essere bella senza essere desiderabile sarebbe poi diventato per me un obbligo morale (questa però è un’altra storia che il film che sto recensendo racconta molto bene). All’epoca non conoscevo ovviamente il femminismo né avevo idea di che cosa fosse il patriarcato, sebbene tutte le donne della mia famiglia lo subissero. Ho ripensato a questo e molto altro guardando Barbie, il film di Greta Gerwig che, dopo Piccole donne (2019), è ritornata a dirigere una pellicola in grande stile.
La recensione del film Barbie
Il film Barbie è un manifesto femminista potente e allo stesso tempo sbalorditivo. Non è un’operazione di marketing, come qualche intellettuale ha detto. Con questo film sicuramente Mattel aumenterà le vendite eppure la pellicola non è un contenitore vuoto, perché il suo sotto testo è ricco di messaggi che vanno oltre ciò che oggi viene chiamato politicamente corretto, perché, come giustamente ha sottolineato su Instagram la narratologa Marina Pierri, questo lungometraggio rievoca altri capolavori della Settima Arte, forse (aggiungo io) superandoli per certi versi, tra cui l’illuminante The Troman Show.
Trama
Siamo a Barbieland, una realtà parallela, un mondo straordinario, dove ogni Barbie può esprimere il suo potenziale. I Ken sono un elemento decorativo e funzionale allo sviluppo di tutte le bambole. Allan, l’amico di Ken, è accessorio. La protagonista è la Barbie stereotipo (impersonata da Margot Robbie). Quest’ultima – quando comincia ad avere insoliti pensieri di morte, i piedi a papera e un po’ di cellulite – si rivolge a Barbie stramba (Kate McKinnon) che le ordina di andare nel mondo reale, dove con molta probabilità una bambina sta proiettando i suoi stati d’animo negativi su di lei.
Barbie, con Ken al seguito (Ryan Gosling), arriva a Los Angeles dove si scontra con una società molto differente, nella quale comandano gli uomini. E, mentre lei ne resta basita e pian piano anche un po’ disgustata, Ken invece ne resta affascinato, tanto che si prefiggerà l’obiettivo di instaurare il patriarcato a Barbieland. Riuscirà Barbie a salvare il suo mondo trasformandosi in una creatura meno artificiosa? Lo scoprirete al Cinema.
Il femminismo intersezionale nel film Barbie
La pellicola offre la sua personale visione sul patriarcato; è un film che riproduce – come ho anticipato – alcune idee del femminismo intersezionale perché c’è attenzione alle altre etnie. La protagonista è ben delineata nella propria bellezza stereotipata. I personaggi collaterali sono strutturati bene, ogni battuta è pensata sia per far ridere e divertire che per demolire gli stereotipi di genere che ingabbiano gli uomini quanto le donne. Infatti, come accade a Stefano nel primo Maleficent, anche Ken dovrà scoprire poco alla volta chi è, a prescindere dalla donna che ha al proprio fianco. In verità il processo di individuazione di Ken – che appare come un bambolotto disorientato – non è mai cominciato.
Barbie si evolve trasformando se stessa e prendendo consapevolezza dell’umanità che la caratterizza in tutta la sua imperfezione. Scopre quindi che si può essere belle e intelligenti, si può piangere, ingrassare, provare piacere, essere madri e lavoratrici, non diventare mai mamma senza sentirsi per questo in colpa… Insomma si può essere tutto ciò che si vuole. E questa presa di consapevolezza avviene tramite il fantasma di Ruth Handler, la creatrice di Barbie che è interpretata da Rhea Perlma.
Questo film è uno spasso. Può essere visto da adolescenti e preadolescenti; io ne consiglio caldamente la visione pure agli adulti. La regista e sceneggiatrice si è ispirata in parte al libro Reviving Ophelia del 1994 di Mary Pipher che trovate qui. Maria Ianniciello