Bones and All: recensione
Guardare Bones and All, il nuovo e particolare film del regista di origini palermitane Luca Guadagnino, non è facile. Non lo è, perché se si vuole comprendere il senso più profondo della trama, è necessario compiere più di un’operazione intellettuale e percettiva. Bisogna mettere innanzitutto da parte ogni concezione che si ha del bene e del male, andando oltre la morale e l’etica. Partiamo con un’opinione: questo non è un film sull’emarginazione sociale. E’ molto di più.
In Bones and All la natura si fa persona e l’essere umano, sempre più fragile nella sua impellente solitudine, si fa natura, tra istinti primordiali incontrollabili e desiderio di una normalità che fa rima con tranquillità ma anche con noia e status quo.
Il cannibalismo è dunque solo un escamotage, oltre che una metafora, per raccontare l’iniziazione alla vita adulta di due giovani che, attraverso l’amore non voluto e casuale, trovano forse salvezza e redenzione.
L’idea del viaggio con ampie panoramiche, che soprattutto nella seconda parte del film si alternano a intensi primi piani, ci fa credere che Bones and All – che è un film prevalentemente sui corpi – faccia parte dell’on the road movie, come Il sorpasso (1962), Una storia vera (1999), Into the Wilde (2007), Nomadland (2020). Ma è soltanto una falsa percezione, perché il lungometraggio non rientra in un genere fisso e preciso.
Trama
Per le immense e lunghe strade solitarie dell’America vista da un europeo, Maren (Taylor Russell) si fa largo nel mondo, con il suo corpo selvaggio e fiero. Il padre (André Holland) l’ha contenuta e circoscritta fino a quando ha potuto, dopo che la madre, cannibale anche lei, se ne era andata forse per proteggerla. Ma i fatidici diciotto anni segnano lo spartiacque tra il contenimento paterno e la totale autonomia.
Maren deve cavarsela da sola e allora si mette in viaggio. All’inizio del suo percorso incontra prima Sully (Mark Rylance), uno come lei, che da padre putativo quale vorrebbe essere e non diventerà mai le insegna ad annusare a metri di distanza gli altri cannibali. Poi, la ragazza, dopo essere fuggita dal suo inquietante amico, incontra casualmente Lee (Timothée Chalamet), anche lui cannibale e disturbato.
La polizia è una presenza aleatoria…
Luca Guadagnino ci porta così nel cuore della patologia, facendoci vedere cosa si prova nel sentirsi diversi ed emarginati. E lo fa senza giudizio. La polizia appare solo una volta ed è una presenza immaginifica, quasi eterea, che si manifesta più a parole che nei fatti, perché a Guadagnino non interessa la Giustizia né vuole fare i processi; gli interessano gli istinti e anche forse il codice morale (Maren e Lee ne hanno uno tutto loro che è pieno di contraddizioni e del tutto incomprensibile) di una gioventù che sta costruendo se stessa!
Il cannibalismo come fame di vita
Il regista ci dice fra le righe che il cannibalismo è un reato ma non lo giudica, perché quella fame è solo metafora di un’altra fame. I giovani si vogliono nutrire di vita (difatti mangiano la carne cruda). Strizzando l’occhio anche a Thelma & Louise (1991) per le ambientazioni e il desiderio di libertà dei protagonisti, il cineasta italiano, attraverso il sangue (per la tradizione sede dell’anima) e la carne umana, si esprime per simboli e metafore, senza uscire tuttavia dal mondo reale (non ricorre a mostri e vampiri).
Guadagnino si insinua dunque nei lati più oscuri e selvaggi di un’umanità in divenire. Ed è come se con quell’atto macabro e abominevole si compisse un rito. I due ragazzi si innamorano poco alla volta (non fanno altro che dichiararsi amici) e mentre si legano in modo selvaggio e viscerale si ribellano anche alle regole imposte da una società che non potrà mai accettarli se non sopprimendo la loro fame in un ospedale psichiatrico o in una prigione.
Bones and All eccelle per la fotografia, le musiche e ovviamente per la regia di alto spessore. Il film – che è un’opera d’arte dai risvolti horror – è basato sul libro della scrittrice statunitense Camille DeAngelis (lo trovi qui). La sceneggiatura è di David Kajganich. La fotografia è di Arseni Khachaturan. Le musiche sono di Trent Reznor e Atticus Ross. Il montaggio è di Marco Costa. La produzione è americana, inglese ed italiana. La pellicola in Italia è distribuita da Vision Distribution. Il lungometraggio è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 ed ha ricevuto il Leone d’Argento per la regia.