Mentre i romantici di tutto il mondo si appassionavano alla sua trilogia dell’amore (Prima dell’alba, Before Sunset – Prima del tramonto e Before Midnight – Prima di Mezzanotte) con Julie Delpy ed Ethan Hawke nei panni di Céline e Jesse, Richard Linklater ideava uno dei migliori esperimenti cinematografici degli ultimi anni.
Il suo nuovo film, Boyhood, è stato frutto di un lavoro rischioso e dunque coraggioso, durato 12 anni, nel corso dei quali ogni anno il regista radunava il cast e la troupe per girare alcune scene del film. Le riprese sono infatti durate dall’estate 2002 all’ottobre 2013.
Boyhood, recensione e trama del film
Mason (il promettente Ellar Coltrane) è un bambino spensierato come dovrebbero essere tutti a 8 anni, con gli occhi fissa il cielo assorto. Da lì a poco quella leggerezza lo abbandonerà a causa di una madre single, Olivia (interpretata brillantemente da Patricia Arquette, storica protagonista della serie Medium) incapace di gestire la sua turbolente vita sentimentale.
Mason e sua sorella Samantha (la figlia del regista, Lorelai Linklater) tenteranno inoltre di recuperare il rapporto con il padre Mason Sr. (un magistrale Ethan Hawke) affetto dalla sindrome di Peter Pan, scappato diversi anni prima dalle sue responsabilità familiari. Linklater ci regala quello che i naturalisti avrebbe definito “tranche de vie”, una fetta della vita del piccolo Mason, dall’età di 8 anni fino a quella di 20, quando abbandonati i tormenti adolescenziali, sarà libero di viaggiare verso il suo futuro.
Recensione del film
Il focus di Boyhood è il rapporto di Mason con i genitori separati e la sorella maggiore Samantha, mentre sullo sfondo troviamo un’America smarrita dopo le bombe dell’11 settembre, pronta ad affrontare uno dei più grandi cambiamenti della sua storia: l’elezione del presidente Barack Obama. Lungo questo percorso, ridotto al cinema in 166 minuti (che volano via alla velocità della luce), lo spettatore assisterà in maniera empatica a un viaggio ironico, doloroso e rigenerante.
La solida sceneggiature risulta così in un’incantevole esperienza cinematografica di straordinaria intensità emotiva, che rappresenta il progetto più ambizioso dell’intera carriera di Linklater.
Troppo riduttivo definirlo esperimento cinematografico o romanzo di formazione, Boyhood è un racconto epico e un ritratto intimo e anticonvenzionale della nuova gioventù americana che passa attraverso l’analisi del nucleo familiare, che va irrimediabilmente a incidere sull’equilibrio emotivo dei ragazzi. Un esperimento che potrebbe essere lontanamente paragonato alle avventure di Antoine Doinel, raccontate da François Truffaut. Di certo al regista statunitense non mancano abilità, sensibilità e umorismo.
La storia di Mason non è sensazionale, è una vita ordinaria la sua, quella di un giovane ragazzo alle prese con i drammi familiari, un padre assente, una madre sbandata e un futuro incerto.
Mason è un ragazzo dolce ma insicuro, intelligente ma cupo e disilluso, figlio di una generazione precaria emotivamente prima ancora che professionalmente. Linklater raggiunge in questo modo la vetta più alta, a cui un regista realista possa ambire: elevare la vita umana attraverso la forza del mezzo cinematografico senza rinunciare al fascino dell’invecchiamento. Rosa Maiuccaro