Cattive acque è un modo di dire italiano per indicare che una persona si trova in difficoltà economiche ma è anche il titolo di un film che è uscito al cinema il 20 febbraio.
La macchina da presa di Todd Haynes inquadra sin da subito le acque chete di un fiume, dove un gruppo di ragazzi sta facendo il bagno. Siamo negli anni Settanta. Poi… lo sbalzo temporale sino alla fine degli anni Novanta, quando l’avvocato Robert Bilott da difensore di grandi aziende passa dall’altra parte della barricata. Ci pensa un agricoltore del West Virginia a farlo uscire dal torpore e da una dimensione ovattata, fatta di privilegi e poche domande.
Mark Ruffolo è bravo nel dare l’idea di questo cambiamento da parte del legale che si interessa così ad una giusta causa, proprio come fece Ruth Bader Ginsburg per una questione ben diversa, che riguardava i diritti civili, ma pur sempre di una certa importanza.
Cattive acque: recensione e trama (podacast in calce)
In Cattive acque è il diritto alla salute del cittadino che viene messo in risalto. Bilott deve far causa ad uno dei clienti più importanti dello studio legale per il quale lavora: la DuPont. L’accusa è quella di aver sversato nelle acque dell’Ohio e della Virginia quantitative massicce di PFOA (acido perfluoroottanoico), che provocherebbe una serie di patologie, tra cui alcune forme di cancro, in esseri umani e animali.
Questo agente chimico sintetico viene usato anche nella fabbricazione del Teflon, il materiale che si utilizza per rivestire le padelle antiaderenti. E si calcola che sia presente nel sangue di tutta la popolazione mondiale.
Una storia vera…
Cattive acque alza dunque i riflettori su un scenario raccapricciante, raccontando una storia vera. La sceneggiatura – che è stata scritta partendo dall’articolo che Nathaniel Rich pubblicò nel 2016 sul New York Times – rende perfettamente giustizia all’intera vicenda. La sensazione che si ha è che il film duri parecchio. In realtà non è così. Infatti, il lungometraggio è stato costruito seguendo lo scorrere degli anni.
Tutto muta da una sequenza all’altra: gli abiti, il taglio e il colore dei capelli… le schermate del computer e i figli di Billott che aumentano di altezza). Così si dà l’idea allo spettatore della mole di tempo che dovette passare affinché le persone coinvolte riuscissero ad avere giustizia. Fu, difatti, una battaglia legale lunga 19 anni, nell’arco dei quali Robert Bilott fu prostrato emotivamente e fisicamente. Sostenuto dalla moglie Sarah (Anne Hathaway), non si diede mai per vinto e con caparbietà portò avanti la sua tesi.
Mark Ruffalo, da Il caso Spotlight a Cattive acque
Mark Ruffalo si cala con una certa disinvoltura in una parte non proprio semplice esprimendo appieno i tormenti e i dissidi di quest’uomo che mise la verità al di sopra di tutto. Non nuovo a questi ruoli (pensate per esempio al giornalista de Il caso Spotlight), l’attore, con un’espressività corporea e facciale che non lo tradisce mai, riesce ad essere molto convincente.
Un bel film…
La fotografia in questo film è grigia come l’aria inquinata ma anche come l’inchiostro dei tanti documenti che l’avvocato dovette leggere. Insomma, Cattive acque è proprio un bel film. Vi do un consiglio aggiuntivo: se amate il genere dell’investigazione vi consiglio di vedere anche La regola del gioco e The post…Per quanta riguarda invece la questione ambientale vi suggerisco il documentario A plastic ocean. (Marica Movie and Books)