“I Corpi Estranei” è un film diretto da Mirko Locatelli (già regista de “Il primo giorno d’inverno”) con protagonista uno strepitoso Filippo Timi. La pellicola, nelle sale dal 3 aprile, racconta la prova difficile e dolorosa di un padre, Antonio, partito dal sud per portare il figlio gravemente malato in un istituto specializzato di Milano. Durante il periodo di ricovero conosce un ragazzo tunisino, Jaber, anch’egli in ospedale per assistere un amico malato di cancro. La malattia offre l’occasione per un incontro tra queste due anime sole e impaurite, costrette ad affrontare, sempre con dignità e pudore, una sfida con il destino e un futuro incerto. Durante la conferenza stampa di presentazione del film, abbiamo rivolto alcune domande alla coppia Locatelli-Timi, divertente e molto affiatata anche fuori dal set.
Come è nata l’idea de I Corpi Estranei?
M.L. Volevo raccontare la malattia di un bambino e il dolore di un padre come fossero protagonisti di un documentario. Insieme a mia moglie Giuditta Tarantelli, che ha co-prodotto il film, ci siamo avvicinati alla Fondazione Magica Cleme Onlus che collabora da anni con l’Ospedale San Geraldo di Monza e con l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Abbiamo letto tante storie di genitori di bambini malati e abbiamo parlato a lungo con medici che ogni giorno affrontano la malattia. Dopodiché ci siamo resi conto di voler dare spazio alla figura di un genitore, lasciando in secondo piano, quasi nascosti, dottori e infermieri.
Perché avete scelto di raccontare la storia di un padre e non di una madre col proprio bambino?
M.L. Ci è piaciuta subito l’idea del padre perché la figura paterna, quindi maschile, tende a chiudere il dolore dentro di sé, a comprimere la sofferenza e a guardarsi bene dal farla emergere. Antonio è un personaggio allergico a qualsiasi cambiamento, non accetta chi o cosa è diverso da lui. Trattiene le lacrime e non mostra cedimento, anche se dentro si sente morire. E poi volevamo raccontare il maschio italiano in crisi, che non riesce a comunicare, non vuole abbracciare o piangere perché segno di debolezza e femminilità.
Filippo, come hai affrontato il tuo personaggio?
F.T. Devo ammetterlo: è stata dura all’inizio. Rappresentare un dolore così grande come quello provato da un genitore di fronte alla malattia del proprio figlio, è una cosa umanamente impossibile. Ho cercato di non aprire la porta della tristezza e della sofferenza, altrimenti per Antonio sarebbe crollato tutto. Se ti si apre quel dolore, vai a testa in giù. Il mio personaggio è tosto, vuole affrontare tutto a modo suo, da solo, rifiutando ogni tipo di apertura e di aiuto. Però lo fa con estrema dignità. Avrei potuto urlare di rabbia, spaccare tutto, ma ho preferito dare a questo padre il pudore che merita la sua vicenda.
E poi recitare con un bambino così piccolo, non tuo, deve essere stato difficile.
F.T. All’inizio non sapevo come muovermi, come entrare in sintonia con lui. Mirko è stato bravo a lasciarmi fare, provare l’esperienza di essere padre e quindi dovermi gestire da solo la situazione, senza alcun aiuto esterno. Con un bambino non puoi improvvisare ma devi costruire un dialogo continuo. Ti costringe a giocare e non a recitare. Ho trascorso ore ed ore con lui. Devi ascoltarlo, devi osservare e capire come mangia, come si muove, come respira. Mi sono fidato del mio istinto e mi sono lasciato andare, come se stessi vivendo realmente quei momenti in ospedale con Pietro.
Il film è girato come fosse un documentario: perché questa scelta?
M.L. Il film è scritto attraverso gli occhi di Antonio. Il pubblico è invece il terzo incomodo. Non volevamo una recitazione frammentata. La scena vive. Filippo ha subito un vero pedinamento con la telecamera, come se lo spettatore fosse sempre ad un metro e in svantaggio come lui. Tutti i personaggi del film vengono scoperti dal pubblico un istante dopo rispetto ad Antonio. Questo elemento rende “I Corpi Estranei” molto diverso dai film che siamo abituati a vedere.
Oltre all’ospedale, molte scene sono state girate all’esterno, come ad esempio un mercato. Come avete scelto le varie location?
M.L. In realtà sono dei non luoghi ma molto importanti perché assumono il ruolo di quarto personaggio del film. Corridoi, mercato, parcheggi, automobile, chiesa, stanza d’ospedale: sono luoghi di passaggio, di attesa, come del resto lo è tutto il film e la nostra vita reale. Un’attesa continua. Trascorriamo il 75% della nostra esistenza ad aspettare una situazione in cui crediamo di vivere realmente. Anche mentre dormiamo aspettiamo di svegliarci.
Perché ne I Corpi Estranei ci sono solo personaggi maschili?
F.T. Io avevo proposto a Mirko di inserire una donna. Avevo anche indicato un’amica attrice molto brava, umbra come me. Avrei voluto che la moglie di Antonio, con la quale parla sempre al telefono perché è rimasta al sud con gli altri due figli, fosse visibile allo spettatore. Invece dialogavo da solo al cellulare, mi davo domande e risposte in automatico, come faccio spesso anche nella realtà (ride, ndr). Ho anche detto al regista di girare una scena hot con l’infermiera carina dell’ospedale e difatti l’abbiamo girata! Ma Locatelli l’ha tagliata a tradimento e nel film non compare. Un momento di sesso, un po’ in stile Banfi, un po’ Kubrick, e giusto un paio di tette, non guastavano!
M.L. Per vedere queste scene lo spettatore può venire ai tuoi spettacoli teatrali!
La sintonia tra di voi è sorprendente. Battibeccate ma è evidente che vi amate!
F.T. E’ vero. C’è molto rispetto tra noi due. Nonostante le battute e l’ironia.
M.L. Quando l’ho scelto per il film ero molto carico e felice. E’ un grande professionista. Però, ragionando, mi sono anche chiesto: “Oh, cazzo! Io tetraplegico da 20 anni, lui attore balbuziente. E ora come faccio a gestire la situazione? Ma non aggiungo altro, potremmo lavorare ancora insieme in futuro. Non si sa mai!
Silvia Marchetti