Si apre con parecchia carne al fuoco la prima conferenza stampa della nuova giornata della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia: a rispondere alle domande dei cronisti sono, infatti, le attiviste del movimento femminista “Femen”, protagoniste di “Ukraine Is Not a Brothel”, il film, fuori concorso, della regista Kitty Green che racconta lo sviluppo e le vicissitudini del movimento femminista. In un botta e risposta infuocato Inna e Sasha Shevchenko hanno spiegato di essere scappate dall’Ucraina, dove erano in serio pericolo, per continuare a cercare nuove strategie finalizzate ad attaccare e sconfiggere il sistema patriarcale. In una società in cui le donne vengono cresciute per compiacere gli uomini, le Femen auspicano la riappropriazione del loro corpo e, per fare ciò, lo utilizzano come strumento politico. Il gesto di togliersi la maglia, restando così a seno nudo, spiegano le Femen, ha come obiettivo quello di annientare i pregiudizi figli del patriarcato che, sempre secondo le esponenti del movimento femminista, trovano la propria giustificazione nelle tre grandi religioni del mondo e nelle loro rispettive sacre scritture che negano, in maniera evidente, tutti i diritti delle donne.
Molto diverso è invece il registro di “Une promesse” di Patrice Leconte, la pellicola ambientata durante il primo conflitto mondiale e che basa i propri presupposti su una promessa d’amore che andrà al di là di ogni difficoltà contingente. Estremamente complesso è il mondo narrato da “Eastern boys”, il lavoro di Robin Campillo, in competizione per la sezione Orizzonti, che narra le delicatissime vicende esistenziali di un gruppo di giovani migranti, provenienti da alcuni dei più problematici paesi dell’Est Europa. In un groviglio di corpi, volti, violenza e microcriminalità, il regista trova anche lo spazio per i sentimenti e per la dinamicità dei ritmi imposti dalla vita. Altrettanto elevata è la mole di emotività messa in gioco da David Pablos in “La vida después”, la triste vicenda familiare in cui due fratelli sono costretti ad una traumatica scoperta delle sofferenze della vita e della morte.
Chi invece appare come un eroe di un presente sempre più precario è Antonio Albanese, nei panni di Antonio Pane, il protagonista de “L’intrepido”, il secondo film italiano in concorso per Venezia 70, opera del regista Gianni Amelio. Il film intende dare voce ad un uomo che si accontenta di “rimpiazzare” qualsiasi figura lavorativa pur di avere ogni giorno un motivo per farsi la barba al mattino. Un uomo che prova, quindi, a ricordarsi di essere tale senza cedere ai compromessi e ai pregiudizi.
Raffaella Sbrescia