Gli spiriti dell’isola: trama e recensione
Gli spiriti dell’isola sembra l’adattamento cinematografico di una novella di Luigi Pirandello. Come in alcune delle opere del drammaturgo siciliano, i personaggi principali sono in balia dei moti inconsci dell’essere che li rende vittime del loro stesso destino.
Il protagonista è considerato un uomo buono dagli isolani. Si chiama Pàdraic Sùilleabhàin (un magistrale Colin Farrell), ha una capretta, alla quale è affezionato come se questa fosse un cane, e vive con la sorella Siobhàn (Kerry Condon), una giovane donna che ama leggere e ha un animo fine.
Un giorno Pàdraic scopre che Colm Doherty (Brendan Gleeson) – un suo amico di vecchia data, con il quale si intrattiene al pub tra una chiacchiera e l’altra – non ne vuole più sapere di lui e non perché ha ricevuto un torto. Pàdraic semplicemente non gli va più a genio. Il personaggio di Colin Farrell prima manifesta una certa incredulità poi comincia a tormentare Colm, il quale, in preda all’esasperazione, gli dice che se non la smette di dargli fastidio si amputerà tutte le dita della mano destra, con cui ogni sera si esibisce al pub suonando il suo amato violino.
Un film sui rapporti umani dipendenti
Su un’isola immaginaria, tra il tragico e il comico, si consuma un piccolo dramma mentre sulle coste irlandesi imperversa la sanguinosa guerra civile degli anni Venti. Colm, dunque, dalla mattina alla sera, decide di allontanarsi dal suo amico perché lo ritiene noioso.
Padràic è una maschera. Sotto la coltre di bontà, che è invece buonismo, si nasconde una natura cinica e soprattutto narcisistica che nemmeno lontanamente ricorda l’ingenuità, la pienezza d’animo e la curiosità di un altro isolano, ovvero il timido postino di Massimo Troisi. Qui il sole stenta a fare capolino, il cielo è grigio, la natura è selvaggia. Il paesaggio roccioso è un richiamo alla spigolosità degli isolani, in modo particolare del protagonista e del suo vecchio amico che diventa un po’ alla volta un acerrimo nemico.
Dio è una presenza giudicante…
La macchina da presa di Martin McDonagh (regista anche di Tre manifesti, Missouri), alternando campi medi con campi lunghi e lunghissimi, mostra un contesto dove cielo e mare si uniscono sotto lo sguardo miope degli abitanti dell’isola. Dio – rappresentato dall’arcigno prete – è una presenza lontana, eterea, giudicante. Mentre la spiritualità e la saggezza popolare sono incarnate da una vecchia veggente vestita di nero che, come la Cassandra della Mitologia greca, profetizza sventure spesso senza essere creduta.
Gli spiriti dell’isola è un film sulla solitudine, sul controllo e sull’esercizio del potere nei rapporti umani costruiti sulla dipendenza affettiva. Pàdraic, per paura della solitudine – che naturalmente non riconosce di avere – si comporta come i Malavoglia di Giovanni Verga. E’ una sanguisuga, è un personaggio che si attacca alla roba, all’amico e alla sorella diventandone dipendente.
Colm, invece, pur di non vedere né sentire il suo amico, è disposto anche a castrarsi, ovvero ad amputarsi la mano destra, simbolo anche essa di amicizia ma soprattutto indispensabile per suonare. Entrambi sono vittime del loro stesso rapporto che li renderà sempre più carnefici. Il film ha ricevuto nove candidature agli Oscar 2023. Ma andate a vederlo al Cinema senza grosse aspettative. Mettetevi comodi cercando di andare oltre l’oggettività della storia per coglierne il retropensiero. La pellicola è in realtà una bizzarra parodia sull’amicizia e in generale sui rapporti soffocanti in un contesto poco stimolante. Maria Ianniciello