Gost in the shell, recensione del film – Quanto c’è di Jason Bourne nel Maggiore di Ghost in the shell, il film al cinema dal 30 marzo con Scarlett Johansson? Apparentemente poco, eppure il filo che lega i due personaggi è piuttosto spesso e non solo per l’amnesia che accomuna entrambi. I ricordi sembrano, infatti, interessare la Settima Arte che li pone sotto la lente d’ingrandimento dei suoi molteplici generi. Eppure è la Fantascienza che sta dando in questo periodo il meglio di sé! Che cos’è un ricordo dopotutto? Per il filosofo libanese, Kahlil Gibran, era un modo d’incontrarsi. Nausicaa seduce Ulisse proprio facendogli dimenticare ogni cosa perché, quando siamo privi di memoria, diventiamo più malleabili. Capita, però, a un certo punto che il nostro lato più umano (il Ghost che è in noi) comincia a farsi sentire. La voce dell’anima non può essere ignorata. Ed è in questo che Bourne e il Maggiore sono molto simili.
Il Maggiore di Ghost in the shell vive in un corpo robotico, mentre il suo cervello è umano. Un essere a metà strada così come il Minotauro della Mitologia, mezzo uomo e mezzo animale. Ma, ahimè, non è la carne a farla da padrone bensì il metallo. Tuttavia le emozioni (si sa) giocano un brutto scherzo e, come si afferma a un certo punto del film, è proprio il Ghost/anima il problema. A differenza del personaggio principale di Self/Less – pellicola del 2015 -, il Maggiore si muove in una realtà artefatta e futuristica seguendo i consigli del suo medico, interpretato da Juliette Binoche, e le direttive di un’azienda deputata a mantenere l’ordine in città. C’è, tuttavia, qualcosa che non torna. Qualcosa di oscuro che ci vuole tenere sulle spine senza riuscirci.
In verità Ghost in the shell non è un film avvincente, nonostante la discreta performance della Johansson. Basato sul manga giapponese di Masamune Shirow, il lungometraggio è diretto da Rupert Sanders, già regista di Biancaneve e il Cacciatore. La pellicola mi convince a metà, perché (a prescindere dagli effetti speciali) è un prodotto con poco pathos che, con la volontà di stupire, ci priva del vero effetto sorpresa. E` una sorta di scatola vuota, bella da vedere con la sua grafica perfetta, ma non sensazionale una volta scartata.