Ironico, tagliente, sagace al punto giusto, certamente fuori dagli schemi. La storia c’è, eccome se c’è, ed è pure avvincente. Il contesto è quello giusto: siamo negli Stati Uniti di inizio anni Sessanta, quando la segregazione razziale era all’apice e quindi essere afroamericani in un Paese puritano e razzista era considerato un disvalore. Peter Farrelly in Green Book percorre strade già sterrate, affrontando una tematica ampiamente trattata.
Il regista, tuttavia, narra una storia vera con originalità e forse anche con un certo savoir-faire nonostante la mancanza di bon ton del protagonista, Tony Vallelonga, interpretato da uno straordinario Viggo Mortensen, che dismessi i panni del padre Hippy in Capitain Fantastic veste adesso quelli di un buttafuori italo-americano e di un marito tradizionalista ma dal cuore d’oro. Con questa figura, ben strutturata e sui generis, si rende omaggio tra le righe al grande Cinema di Francis Ford Coppola riportandoci solo per qualche breve istante con la memoria a pellicole memorabili e dall’inestimabile valore.
In Green Book si fa però un’operazione geniale: si sfruttano i toni della Buddy Comedy per affrontare un argomento molto arduo ed ostico. Quindi, la durezza della tematica viene smorzata dai dialoghi tra i due personaggi e dalle battute divertenti di Tony che – a cause delle ristrettezze economiche che deve affrontare quotidianamente – diventa lo chauffeur del famoso pianista di colore Don Shirley (Mahershala Ali). E fin qui nulla di strano, se non fosse che i due devono percorrere in lungo e in largo, partendo da New York, il Sud degli Stati Uniti, per toccare con il tour le città più razziste del Paese. Ce la farà Tony a proteggere Shirley?
Non voglio svelarvi ulteriori dettagli per non rovinarvi il gusto della sorpresa. Posso solo dirvi che Green Book è un film che merita davvero di essere visto. Avvalendosi di più generi e sottogeneri cinematografici (il Cinema on the road, il dramma, la già citata Buddy Comedy…) la pellicola ci fa riflettere con intelligenza creando in noi altri punti di domanda sull’essenza della vita, sulla solitudine, sull’amicizia – che nasce tra due persone apparentemente diverse eppure così simili nelle reciproche fragilità – e sulle barriere che l’essere umano alza per comodità tramandandole di padre in figlio ma che possono essere oltrepassate con coraggio.
Lo stesso coraggio che Celie de Il colore viola trova per ribellarsi al ‘marito padrone’ e la medesima forza di volontà di Solomon Northup di 12 anni schiavo. Gli ostacoli sono prima di tutto nella nostra mente e si possono superare soltanto se non si trascorrono le giornate con l’intento di piacere a qualcuno assicurandoci al contrario che ci trattino bene e che ci diano ciò che ci spetta, come ricorda Troy Maxson (protagonista del film Barriere, nda) al figlio. Quattro stelline dunque per Green Book. **** (recensione di Maria Ianniciello)