Jeanette Walls è una giornalista e scrittrice americana. Nel suo libro, Il Castello di vetro (edito in Italia da Rizzoli – lo trovi qui) descrive la sua infanzia trascorsa con il padre alcolizzato, la madre infantile e senza una fissa dimora. La trasposizione cinematografica si intitola proprio come il libro.
Il castello di vetro: recensione e trama
Diretto da Destin Daniel Cretton, il lungometraggio è molto avvincente e toccante. Sfruttando il genere on the road, la pellicola – che rientra in parte anche nei film di formazione – tocca più corde per dirci che dove esiste famiglia c’è casa e che, a volte, l’amore sana ogni ferita, oltre il tempo, oltre i rancori e le umane debolezze. La macchina da presa, complice un montaggio che non disorienta, si muove agile tra il passato della protagonista e il presente.
Trama
Jeanette (Brie Larson) è solo una bambina, quando vede più volte suo padre Rex (Woody Harrelson) ubriacarsi e perdere il lavoro per questo. Insieme alla sua bizzarra famiglia gira per l’America, occupando abitazioni di fortuna e sfuggendo ai Federali. La madre Rose (Naomi Watts) aspira a diventare pittrice; il padre sogna di costruire nella natura un castello di vetro con tutti i confort per poter guardare le stelle. Lei e i suoi fratelli, nonostante vivano in condizioni di precarietà materiale, si sentono amati dal padre alcolizzato e dalla madre-bambina che non ha la forza per lasciare quel marito che ama con tutto il cuore.
Nel presente la protagonista è diventata una giornalista e sta per sposarsi con un uomo benestante. Jeannette rinnega le sue radici perché si vergogna dei genitori che continuano a non avere una vita stabile e una casa confortevole dove poter vivere in pace e serenità la loro vecchiaia. Il padre si ubriaca ancora. Jeannette sembra aver dimenticato i momenti belli, le sensazioni piacevoli e gli insegnamenti del padre per condurre una vita lontana dal suo modo di essere.
Un film educativo
Il castello di vetro è un film che con un ottimo cast ci fa riflettere su che cosa sia davvero importante e soprattutto su quanto la ricchezza materiale sia superflua. Questo padre – nonostante provi un dolore lancinante che proviene da un passato di bambino violato da una madre anaffettiva – si alza la notte per rassicurare la sua piccola. Con i suoi figli non è violento, anche se soffre. Ama la moglie e inizia i suoi quattro bambini, medianti metodi molto spartani (interessante la scena della piscina), alla Vita.
Tutti prenderanno la loro strada, certo cercando sempre stabilità ma anche con una certa disinvoltura data proprio da un attaccamento infantile sicuro. Il film mi ha fatto molto riflettere su quei genitori che si affannano a dare ogni cosa ai figli ma poi sono anaffettivi oppure iperprotettivi. In entrambi i casi gli stili di attaccamento sono disfunzionali. Trovate questo film su Rai Play. Maria Ianniciello