Cos’è che rende una pellicola un capolavoro? Tempo fa una mia lettrice mi ha fatto questa domanda. Lei però partiva dal presupposto che una critica è sempre soggettiva, dato che l’oggettività non esiste. Ovviamente non sono d’accordo. Un film per essere ritenuto un capolavoro deve avere tre requisiti: il giusto ritmo, il messaggio e una storia che esca fuori dagli schemi. Tutto questo però non basta se la regia non riesce a trasferire dalla carta alla pellicola la sceneggiatura che deve essere ovviamente ben scritta. Il nuovo film di Clint Eastwood, Il Corriere – The Mule ha queste caratteristiche.
Partendo da una storia vera il cineasta, nel duplice ruolo di attore e regista, veste i panni di Earl Stone, un uomo anziano che per tutta la vita si è dedicato alla nobile arte del giardinaggio coltivando fiori bellissimi che gli hanno fatto ottenere tanti premi ma che lo hanno allontanato dalla famiglia.
Il Corriere – The Mule è un film che segue il viaggio di un uomo solo, dal volto contratto e dal passo cadenzato, un po’ burbero ma con una vena di umorismo e tanta esperienza che, come vedremo, lo aiuteranno più volte nel corso delle lunghe trasferte.
Eastwood ritorna ad occuparsi, dunque, del fallimento dei Padri in una società che antepone il lavoro alla famiglia per un pugno di dollari o poco più, dimenticando matrimoni di figli e feste di laurea. Di dollari però Earl ne guadagna molti, dopo che la sua attività è stata pignorata. Ci riesce quasi per sbaglio, diventando il corriere di un cartello della droga prima con una certa inconsapevolezza, spinto dai soldi, e poi con cognizione di causa ma pur sempre con l’indifferenza di chi sa che tutto è compiuto.
La macchina da presa con una certa lucidità attraversa il Paese regalandoci scorci che rievocano il miglior Cinema on the road. Con Earl e il suo Pick Up respiriamo, infatti, il bello e il brutto dell’America che, nonostante le molte contraddizioni, riesce ancora ad ammaliarci.
Ne Il Corriere – The Mule Clint Eastwood ci sbatte in faccia un’innegabile verità: l’abito fa ancora il monaco. Lo percepisco quando immagino per questo antieroe un finale diverso, forse più dignitoso, meno impattante. Il sogno americano ahimè si è infranto; di conseguenza storie come quella di Chris Gardner de La ricerca della felicità sono forse poco realistiche o quantomeno rare.
Il ritmo narrativo è lento ma non lentissimo proprio come l’andatura del protagonista. L’eroe, per il cineasta statunitense, è chi sa fare mea culpa non temendo le proprie debolezze. Più simile a Gran Torino e ad American Sniper che ai recenti Sully e Attacco al treno, nel quale il cineasta ci è sembrato un po’ sottotono, The Mule è un autentico capolavoro che brilla di luce propria perché racconta una storia forse poco adrenalinica ma impeccabile, con un’intelligenza e una finezza estreme. Clint passa il testimone a Bradley (Cooper, nda) – che interpreta guarda caso un poliziotto della Dea – chiedendogli, quasi implorandolo, di non fare i suoi stessi errori affinché le colpe dei padri non ricadano poi sui figli.
Il Corriere – The Mule è un film non al cardiopalmo e nemmeno di pancia, è al contrario ragionato, calibrato…potente per il messaggio e lo stile narrativo. E allora qual è la sensazione che si percepisce quando una pellicola è un capolavoro? Sicuramente il desiderio che il film non finisca più. The Mule ha compiuto il miracolo. Grazie Clint per quanto sei riuscito a donarmi in due ore e poco più… (recensione di Maria Ianniciello)