Il presidente di giura di Venezia ‘70 Bernardo Bertolucci ha dichiarato, proprio durante la cerimonia di apertura della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, che il cinema non può cambiare il mondo ma può sicuramente crearne uno. Ecco, è proprio questo il punto: in una società sovraccarica d’informazione come la nostra, il ruolo della mostra è ancora importante. Bando ai lazzi e fronzoli di contorno, la vera essenza che anima e regola le sorti di questo evento è e rimane la vecchia cara pellicola. Così come ricordato dal direttore Barbera, il ruolo del Festival ieri, come oggi e, si spera. anche domani, è quello di selezionare le cose più interessanti da vedere, fungere da antenna per una selettiva scoperta e guidare gli spettatori verso una scelta consapevole. L’aspetto forse più originale di questo Festival è rappresentato da Future Reloaded, come sottolineato, a più riprese, dal presidente della Biennale Baratta, questo 70 mo compleanno della mostra ha ricevuto un regalo davvero speciale: 70 registi hanno accettato di girare un breve cortometraggio, di durata compresa tra i 60 e i 90 secondi, per esprimere, in totale libertà, un’idea rapportabile sia al futuro sia alla memoria storica del Festival. Durante la cerimonia d’apertura sono stati proiettati quello del maestro Bernardo Bertolucci, intitolato “Red Shoes” e quello di Paul Schrader, presidente della giuria per la sezione Orizzonti. Il primo contiene una toccante testimonianza delle infinite difficoltà che le persone diversamente abili affrontano ogni giorno sulle strade italiane: sanpietrini sconnessi, piccole voragini e tutta un’altra serie di problematiche annesse rendono, infatti, loro ogni giorno la vita quasi impossibile. Il secondo invece è un impetuoso, veloce e dissacrante monologo di Schrader che, in pochi secondi, realizza una lucida, veritiera, irreplicabile analisi della condizione attuale del cinema mondiale affermando che non si può fare un film rivoluzionario in mezzo ad una rivoluzione. Proprio per questi ed altri motivi è giusto dire che questi 70 piccoli ritagli di mondo serviranno a comporre un puzzle completo della nostra contemporaneità.
Dopo l’attenta e premurosa presentazione di Barbera dei componenti delle tre giurie ed il racconto, da parte di Bertolucci, di come il direttore del Festival lo abbia convinto a presiedere la giuria con una lunga e commovente lettera, tutta l’attenzione si è spostata sulle star del giorno: George Clooney, che ha sfilato da solo sul red carpet, ed una Sandra Bullock in forma assolutamente smagliante nel suo impeccabile red dress con micro gonna sul davanti. Le due celebrità, protagoniste di “Gravity” il film, fuori concorso, girato da Alfonso Cuarón, non si sono negate agli autografi e si sono godute gli applausi della stampa per un film dalla trama semplice ma dai forti riscontri emotivi: la Bullock è la dottoressa Ryan Stone, un ingegnere biomedico alla sua prima missione spaziale che, insieme al veterano Matt Kowalsky (Clooney), vive una lunga serie di momenti di panico quando la navicella su cui sta lavorando viene distrutta da un cumulo di detriti spaziali e ogni boccata d’aria, in assenza di gravità, diventa fatale. Grande sobrietà anche per la cerimonia d’apertura: un’emozionatissima madrina Eva Riccobono introduce il pubblico alla magia del Festival con un etereo semiraccolto e un favoloso abito in pizzo color nude e mentre l’originale “Gerontophilia” di Bruce La Bruce che vede un giovane innamorarsi perdutamente di un anziano di ottant’anni conquista consensi è già tempo di un super party su qualche esclusiva terrazza allestita ad hoc. D’altronde è giusto così, che Festival sarebbe senza l’amato scintillio della mondanità?
Raffaella Sbrescia