Il Giardino dei ciliegi, l’ultimo lavoro di Anton Cechov, torna in via Rovello, al Piccolo Teatro Grassi di Milano, dal 4 al 9 dicembre 2012, nella rilettura di Paolo Magelli che accentua “la terribile modernità” del testo e dei caratteri dei personaggi, così fragili e veri da essere drammaticamente contemporanei.
Rappresentato per la prima volta il nel 1904 al Teatro d’Arte di Mosca sotto la direzione di Stanislawski e di Dančenko, l’opera narra le vicende di un’aristocratica russa e della sua famiglia che ritornano nella loro proprietà, messa all’asta per riuscire a pagare un’ipoteca e destinata a essere perduta. Gli attori si muovono su un palcoscenico nudo, in cui l’unica scenografia è costituita dalle attrezzature di scena. Il Teatro metafora della vita. La casa di Ljubov’ è il Teatro e il suo passato è “il giardino”: la memoria, la vita che se ne è andata irrimediabilmente. L’assurdità del tempo, che è inarrestabile, rende tutto tragicamente comico. Le geometrie che disegnano tutti gli incontri dei personaggi descrivono senza pietà una serie di crudeli, ridicoli fallimenti. Dov’e’ l’amore? Perché si vive? E la bellezza non e’ forse solo nei ricordi? Assillanti, le domande si trasformano in una sorta di ritornello minimalista e ossessionante.
“Ề la terza volta che metto in scena Il Giardino dei ciliegi e mi pare di non averlo mai fatto. Cechov ti parla sempre in modo diverso… così, dodici (o tredici?) anni dopo, eccomi di nuovo di fronte a questo amore, di fronte al Giardino. Perché riaffrontarlo? Perché oggi penso che il litigio intorno a Cechov che separò Stanislawski e Mejerchold per più di trent’anni, ritenendolo il primo un autore “classico”, il secondo un moderno, avesse un fondamento profondo. Non si trattava di forma…
Se il primo insisteva nella ricerca della tristezza dell’esistenza utilizzando “l’estetica del bello”, il secondo cercava nei rapporti “meccanici” fra gli attori l’alienazione che la vita stessa produce. Ambedue aspiravano ad una sintesi che raccontasse in una sera la fragilità e la stupidità della vita, attaccandosi ai sentimenti come unica cosa tangibile. Le ferite che la vita, scorrendo, ci lascia sull’anima sono la mappa che indica una via misteriosa da scoprire nei personaggi del Giardino, ed è la sola via che sia possibile seguire. Solo districandosi nel labirinto di queste cicatrici è possibile arrivare a scoprire da una parte “la fragilità dell’esistenza” (Stanislawski), e dall’altra “la terribile modernità ” della scrittura di Cechov (Merjerchold). La compagnia del Giardino, nata dalla fusione fra due Stabili, quello della Sardegna e quello della Toscana, sta lavorando, cercando di mediare, o meglio di far incontrare questi due modalità interpretative. Sta cercando di “fondere” questi due mondi”. Paolo Magelli