“Va tutto bene” è l’ultimo lavoro dei Giorni Anomali, una rock band nata a Viterbo nel 2009 sotto la guida di Federico Meli (voce) e la produzione di Alessio Forlani (chitarra). L’album, masterizzato ai famosi Gavin Lursenn Studios di Hollywood, si compone di dieci tracce che hanno visto, tra l’altro la prestigiosa partecipazione del sassofonista Andrea Innesto, meglio noto come “Cucchia”, storico membro della band di Vasco Rossi. I Giorni Anomali scrivono bene ma suonano ancora meglio: arrangiamenti energici e coinvolgenti scaldano le orecchie ed il cuore in un mix che convince e funziona.
Il titolo dell’album è chiaramente un invito a prendere la vita un po’ come viene, a viverla giorno per giorno, a prendersi “la buona che la cattiva non manca mai”. Il grande affiatamento che contraddistingue il sound della band è palpabile fin dal primo ascolto: “Posto per deboli” è la dura constatazione del fatto che la vita non fa sconti, che spesso non esiste una logica a supporto dei fatti; insomma è un rock che se la vede con la realtà. La nebulosa intro de “Il beneficio del dubbio” lascia poi il giusto spazio alla voce graffiante e graffiata di Meli che canta “la musica è un inganno perfetto, ti travolge e non si risparmia”. “Oro e polvere” è la descrizione della ruota della vita: Riccardo Aquilanti (chitarra), Stefano Capocecera (Basso), Fabrizio Di Martino (Batteria) si uniscono, all’unisono, ai picchi di Forlani ed Innesto per il brano forse più maturo del disco. “L’amore è a tempo” è il racconto di un sentimento “on the road” mentre “Tutto finto” è il manifesto di un individuo che, nel malriuscito tentativo di mostrare il lato migliore di sé, risulta finto e a tratti grottesco. L’attitudine cantautorale del disco traspare, in modo evidente, in più punti ma l’energia del sound dei Giorni Anomali fa sì che l’attenzione si concentri sulla qualità del loro rock underground. “Gente di strada” e “Non mi ricordo niente” mantengono viva l’imperante filosofia del “carpe diem” mentre “Vado via” è un tortuoso percorso fatti di dubbi e di perché in un ossessivo moto ondulatorio di immaginari andirivieni. La rancorosa “Non ti chiedo scusa” chiude, infine, un disco colorato di ottimismo e voglia di vivere nonostante un presente tutt’altro che roseo.
Raffaella Sbrescia