“Museica” è il nuovo, attesissimo album di Caparezza, in uscita il prossimo 22 aprile per Universal Music. Il sesto disco del cantante pugliese si ispira al mondo dell’arte e ciascuno dei 19 brani che lo compongono prende spunto da un’opera pittorica che diventa pretesto per sviluppare un concetto. Una meravigliosa galleria di immagini, parole, suoni e colori da visitare e ascoltare, come spiega lo stesso autore.
Cos’è Museica?
Un album immaginifico. Per la prima volta nella mia vita parlo di ciò che mi piace, di arte, anche se non ne sono un esperto. Sono un autodidatta. L’ho studiata solo nell’ultimo anno. Museica è il museo della mia musica. Un omaggio a ciò che mi mancherà di più quando morirò: la creatività.
Perché associ ogni brano a un quadro?
L’intento del disco, almeno in parte, è spiegare l’arte. Quindi ha una funzione anche didattica. Mi concentro soprattutto su alcuni movimenti, come il Surrealismo e il Dadaismo, che amo particolarmente perché, a differenza di altre correnti, gli artisti che ne facevano parte esprimevano la propria visione della realtà. E poi amo Giotto, che surrealista non era, ma che era innovativo rispetto ai predecessori, per aver inventato la prospettiva.
In Museica non si parla solo d’arte.
L’album si muove tra due poli opposti: l’arte, appunto, e la violenza. La maggior parte delle cose che animano questa Terra sono frutto di violenze. Per sfuggire all’inquietudine di vivere si cerca di costruire una realtà parallela, si crea un mondo ideale. L’arte è salvifica, rende poetico il mondo. Per questo sono contrario ai tagli alla Cultura.
“Cover”, invece, è un omaggio alla musica che ami?
E’ un brano che prende spunto dalla mia collezione di vinili e descrive le copertine di signori album. Quindi nel testo c’è un riferimento alla storia della musica, anche italiana. Non so se noi italiani siamo fessi o geni. Quando negli Stati Uniti si faceva punk, da noi andava la mazurca. Quando gli americani proponevano il rock, noi preferivamo le ballate classiche. Ma non voglio esprimermi su questo.
Caparezza è “troppo politico”, come recita il titolo di un tuo brano?
Dico sempre ciò che penso. Tutte le canzoni nascono sulla mia pelle. Attingo solo dalla realtà, da ciò che osservo e vivo in prima persona. Anche “Mica Van Gogh” nasce da un’esperienza personale e da ciò che mi ruota attorno.
E di “Fai da tela” e “Figli d’arte” che dici?
Due canzoni di rassegnazione. “Fai da tela” è la mia preferita del disco. Ognuno di noi è una tela bianca che viene dipinta dal giudizio altrui. Noi viviamo nell’illusione di essere noi stessi. In realtà siamo come ci dipingono gli altri. “Figli d’arte”, invece, descrive i figli degli artisti, dei personaggi famosi. Sono spesso invidiati ma la verità è che vivono una tragedia personale. Ho raccontato la loro dark side. Il contrasto di un padre che canta la pace nel mondo e che quando torna a casa ignora il proprio figlio. Non giustifico gli artisti, non sono degli dei, ma l’arte è qualcosa che porta l’essere umano su un altro livello.
In “E’ tardi” c’è Michael Franti. Come è nata la vostra collaborazione?
L’ho chiamato mentre era a Bali nella giungla. Non chiedermi cosa stesse facendo laggiù. Comunque è nata subito una grande intesa tra noi. Oltre a questo brano del mio disco, uscirà presto un suo pezzo con la mia partecipazione.
Cosa ne pensi del rap di casa nostra?
Non amo le fazioni, le tifoserie. E non faccio rap. Ma credo sia giusto ascoltare tutto, anche ciò che non si ama. Senza giudicare. Il rap è il genere che si è maggiormente evoluto in Italia. Mi piace molto Salmo perchè ha saputo dare qualcosa in più in una scena orfana di rock. Ha preso in pugno la situazione. Io vado ai suoi concerti e vedo ragazzi e ragazze con le magliette dei Metallica. Mi piace anche Clementino perchè ha contenuti interessanti. Anche se molto distanti dal mio mondo, apprezzo e non giudico. Non potrei mai fare una canzone sullo spaccio di droga, ad esempio, perchè non ho mai neanche acceso una sigaretta!
Perché dici che l’arte è sempre stata terapeutica per te?
Non so cosa avrei fatto senza uno strumento musicale. Non sono depresso, ma ho un modo tutto mio di ragionare e di chiedermi determinate cose. Perchè esiste la religione? Perchè ci intromettiamo in questioni internazionali che non ci riguardano? Mi pongo anche domande stupide. Sono un pessimista allegro, più solare di un ottimista cupo.
In “Teste di Modì” fai riferimento ad un episodio clamoroso accaduto 30 anni fa.
Mi riferisco all’episodio del 24 luglio 1984, quando venne scoperta la famosa Testa di Modì. Quella che per diverso tempo fu esposta e pontificata come un’opera d’arte originale, la scoperta del secolo, osannata da critici e personaggi famosi, da Mastroianni a Spadolini, era in realtà un clamoroso falso. Opera di tre ragazzini che non sapevano nulla di arte e di scultura, e che con un Black&Decker hanno realizzato un’opera, prendendo in giro tutti e mettendo in discussione un intero sistema di certezze.
In “Sfogati” con chi ce l’hai?
Non è un pezzo dedicato alla critica in genere, ma solo a quella superficiale, della rete o della strada. Come quella che punta il dito contro Sanremo oppure quelli che davanti ad un quadro d’arte contemporanea dicono: ma un disegno così riuscivo a farlo anch’io! Ecco, ce l’ho con la critica di questo tipo. Se invece la critica è accompagnata da un background e da motivazioni serie, allora è costruttiva e accettabile.
Il Caparezza del futuro?
Il mio è un mestiere precario. Ne sono consapevole. Già questo disco era inaspettato. Non so se e quando ne farò un altro. Di sicuro metto sempre il massimo impegno in ciò che faccio ma le sorti di un lavoro, di un disco, sono decretate non dall’impegno ma dal piacere o meno. E poi io non sono collocabile. Molte radio non mi passeranno mai. Credo di rientrare nel cantautorato italiano ma non quello degli anni passati. E poi dal vivo faccio teatro-canzone. Insomma, il mio problema è che sono del 1973.
A proposito: come sarà “Museica” dal vivo?
Il tour partirà a giugno. Vorrei inculcare il germe della curiosità. E lo farò anche live. Il palco è la mia stanza dei giochi, quindi porterò tutto ciò che è Museica, anche a livello visivo, in tutta la Penisola.
Perchè non ha mai lasciato Molfetta?
E’ il mio punto debole e il mio punto forte. Amo i paradossi e Molfetta è la città dei paradossi. E poi se sono così lo devo alle mie origini. E’ la Città della Morte. Noi non temiamo la morte e ne parliamo con allegria.
Cosa ti aspetti da questo nuovo album?
Vorrei che fosse uno spartiacque in questo momento. Museica ha ragion d’essere nella sua interezza, in quanto album. C’è tanto lavoro dietro alla sua realizzazione, non solo a livello musicale, ma anche visivo. La copertina è nata dopo giorni di discussione con l’artista. Un art work che esiste come quadro vero e proprio e che sarà presto esposto. Da Museica mi aspetto che venga ascoltato più volte, almeno tre o quattro, per comprenderlo a fondo e digerirlo.
Silvia Marchetti