Sei puntate di adrenalina pura ma non solo. La serie tv di Netflix, Keep Breathing, sembra essere pensata come un mero corso di sopravvivenza per giovani adulte. La serie è, difatti, un viaggio metaforico nel cuore dell’anima, tra cadute e scossoni, costole rotte, ferite sanguinanti e gambe fratturate, istanti di panico e momenti di quiete.
La protagonista di Keep Breathing è una donna in carriera che ha alzato un muro di diffidenza e indifferenza rispondendo alle delusioni nell’unico modo che conosce, ovvero inseguendo un modello esterno di perfezione sacrificante e del tutto privo di significato.
Melissa Barrera veste i panni di Liv, che è l’unica sopravvissuta ad un incidente aereo. Nella natura selvaggia del Canada la donna dovrà cavarsela da sola e, tra un limite e l’altro, questa esperienza dolorosa diventerà, per la protagonista, l’occasione per ripensare ai momenti salienti della sua vita, dall’abbandono della madre alla morte del padre. Liv – che è incinta – ripensa anche al rapporto con il proprio partner e a come il suo cuore sia ancora ingabbiato in una sorta di ghiaccio emotivo che le impedisce di percepire davvero emozioni e sentimenti.
Keep Breathing non è certo un capolavoro ma merita più di una chance proprio perché percorre tutte le tappe del viaggio psicologico dell’eroina. La serie di Netflix può essere letta, difatti, sia in chiave collettiva, come percorso iniziatico delle donne verso la vera emancipazione, che con uno sguardo sull’individuo. Ed è in questo che Keep Breathing eccelle con la sua sequenza finale ricca di metafore. Il fiume, dove Liv lascia andare la vecchia e patinata immagine di sé, con tutti i traumi del passato – che le impediscono di sentire i suoi desideri più reconditi – , è un po’ come il Giordano. Liv compie infatti un rito di purificazione per rinascere ancora. Da vedere anche per l’ottima regia di Martin Gero e Brendan Gall. Maria Ianniciello