Ci sono quattro mani femminili dietro la miniserie di Netflix, L’altra Grace, e sono quelle di Mary Harron, alla regia, e di Sarah Polley che ha lavorato all’adattamento del romanzo di Margaret Atwood da cui è tratta la trasposizione televisiva che si ispira ad una storia realmente accaduta.
Siamo nel Canada del 1843. Lo psichiatra Simon Jordan (Edward Holcroft) deve stilare una perizia su Grace Markx (Sarah Gadon), una ragazza di origini irlandesi che con la sua famiglia si è trasferita negli USA oltre dieci anni prima. Grace è stata accusata di essere stata complice nell’assassinio di Thomas Kinner e della governante Nancy Montgomery, per i quali lavorava come domestica. Dopo che lo stalliere James McDermott è stato impiccato per l’omicidio, Grace è finita prima in manicomio, perché ritenuta malata di mente, e poi in un penitenziario dove dovrà scontare l’ergastolo.
La macchina da presa segue il racconto della ragazza, che all’epoca dell’omicidio era adolescente, e mediante una serie di flashback ci riporta indietro nel tempo facendo conoscere quello che è il punto di vista di Grace sugli eventi: dalla morte della madre nella stiva della nave all’amicizia con la domestica Mary, che segnerà la sua vita, fino alla permanenza nella casa di Thomas Kinner, dove si consumò il brutale omicidio, passando per i pochi e spiazzanti ricordi del manicomio, che ogni tanto fugacemente appaiono sullo schermo.
L’atmosfera è calma, meditata, sussurrata. Grace – che non ricorda nulla dell’assassinio e la sua testimonianza è discordante rispetto alle altre deposizioni – si presenta come una ragazza angelica. Eppure tutto lascia pensare che in lei ci sia dell’altro.
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L’occhio che scruta appartiene allo psichiatra. Lo spettatore si lascia così condurre dallo sguardo dell’uomo di scienza che si posa poi sull’altra Grace. La ragazza, con un velo nero in testa, si sottopone a una seduta di ipnosi facendo parlare probabilmente il lato più selvaggio ed indomabile del femminile, con parole che nella società del tempo – e forse nemmeno adesso – non erano tollerabili, soprattutto se pronunciate da una donna.
Grace impreca, ammonisce con voce meccanica, ma non si lascia andare, e racconta una presunta verità su come si svolsero i fatti il giorno dell’omicidio. Lo spettatore rabbrividisce ma inconsciamente sa che quella voce proviene dal femminile sottomesso e abusato.
L’altra Grace traccia anche una panoramica sui divari di classe nell’Ottocento e sulle speranze delle ragazze meno abbienti, con uno sguardo lucido e lungimirante lasciando un senso di sgomento, incompletezza e tante domande aperte. Ma al contempo la serie riesce a raccontarci una storia drammatica e cruenta con una compostezza e una calma molto inusuali per la nostra epoca. [usr 4] M.I.