La figlia Oscura: dal romanzo al film

Quando lessi il romanzo ‘La figlia Oscura’ di Elena Ferrante, ero incinta del mio primo e unico figlio. Lo lessi tutto d’un fiato con la speranza che sparisse subito il magone causato dal disgusto che a sua volta era provocato da quella che per me all’epoca era una certezza insindacabile: una vera madre dovrebbe mettere i figli al di sopra di ogni cosa. Questo pensavo, nonostante i miei studi e nonostante le mie sofferte ricerche sulla parità di genere. La verità è che gli studi vanno interiorizzati, compresi, capiti e io ero cresciuta col mito della mamma coraggio che per me aveva il volto di Cesira de La Ciociara.

Oggi però è diverso. So che non è il pancione a renderti mamma, né l’allattamento, madre non si nasce né si diventa. La maternità non rende la donna più completa, è piuttosto una capacità fisiologica, così come respirare e mangiare. Si decide di avere un figlio perché si sente il bisogno di lasciare al mondo un pezzo di sé, non per sentirsi completi tramite il figlio. All’epoca del romanzo ero certamente diversa, perché è vero che i figli ti cambiano, distruggendo certezze e infrastrutture mentali, ma è anche vero che portano ricchezza se considerati dei soggetti e non degli oggetti che appartengono ai genitori che sono a loro volta delle Persone.

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La trasposizione cinematografica de ‘La figlia Oscura’ è arrivata in un momento differente e di grandi cambiamenti interiori per me. Cambiamento: quanto è difficile assecondare le cose che cambiano senza ostacolare il flusso della vita trasformando gli istinti e le emozioni in sentimenti!? Tanto! Ne sa qualcosa Leda (interpreta nel film da Olivia Colman) che va in vacanza da sola in un’isola greca, dopo che le figlie (due giovani adulte) hanno deciso di andare in Canada dal padre.

Leda è divorziata ed è docente universitaria di Letteratura Comparata. Tra una lettura e un’altra, mentre prende il sole su una spiaggia che dà su un mare cristallino e limpido, si interessa ad una famiglia sui generis, di quelle che a volte si vedono sulle coste della Campania. Ad attirare la sua attenzione è la bellissima Nina (Dakota Johnson) che con la figlioletta ha instaurato un rapporto morboso.

Osservando mamma e figlia, in Leda trapela un senso di nostalgia e di irrequietezza ma è il dolore costante e pulsante ad avere la meglio prostrandola e facendole compiere una scelta senza senso. La ferita torna a sanguinare e i giorni dell’abbandono si fanno vivi. Anche il film, come il libro, affronta in maniera piuttosto dirompente il tema della maternità e del modello che la donna, tra mille rinunce, è chiamata ad incarnare. Ma qui non è tanto la società ad essere giudicante quanto l’Io della protagonista che di riflesso incontra e si scontra con persone che le rievocano il suo trauma.

Con inquadrature movimentate e primi piani intensi Maggie Gyllenhaal gira un film che disturba e annichilisce perché fa vedere ciò che nemmeno può essere sussurrato, ovvero il volto più acerbo della maternità in un crescendo di sensazioni. Il film per me è stato come un pugno allo stomaco, perché la maternità, con tutte le sue contraddizioni e sfumature, se da un lato è un dono dall’altro incarna ancora abnegazione e sacrificio, con sensi di colpa nella mamma quando questa riconosce in sé la Donna e quindi la PERSONA. La recensione de La figlia oscura è stata scritta da Maria Ianniciello

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