Michelangelo Antonioni è stato uno dei registi più innovativi del panorama cinematografico italiano e internazionale del secondo dopoguerra. Il cineasta con la sua macchina da presa ha esplorato le profondità della superficie del mondo, come scriveva il critico cinematografico Seymour Chatman nel 1985, superando il neorealismo e abbandonando le miserie dell’Italia rurale per posare il suo sguardo sulla borghesia del tempo. Ad Antonioni non interessava il verismo della realtà. Gli interessava addentrarsi negli spazi interiori della realtà, attraverso i quali raccontare la profonda trasformazione delle aree urbane.
Ne La notte (1961) Lidia (Jeanne Moreau), dopo essere stata al capezzale dell’amico Tommaso con il marito Giovanni (Marcello Mastroianni), ritorna in periferia, dove la terra e il fango, come ella stessa ammette, ben presto saranno celati dal cemento e dall’asfalto. Tutto verrà coperto dalla modernità, il passato sprofonderà nelle tenebre e l’oblio avvolgerà le persone che non sapranno più riconoscere l’origine del profondo turbamento che le assale. Le geometrie della città, che rievocano il Cubismo e il Surrealismo, rappresentano nel film di Antonioni gli spazi della psiche borghese che non riesce a comunicare il senso di inquietudine e di impermanenza che la pervade.
La morte di Tommaso e l’assenza di passionalità non trasformano i personaggi, anzi li deturpano in una assurda compostezza che rende soprattutto Giovanni impassibile alle richieste di attenzione della moglie Lidia che, sparendo nella pioggia con un altro uomo, vuole essere vista e riconosciuta come entità a sé. Ne La notte, secondo capitolo della trilogia dell’incomunicabilità, Antonioni affida a Valentina (Monica Vitti) il ruolo di scuotere le coscienze dei coniugi ma inutilmente, perché Giovanni continua a voler comprendere il mondo su un piano solo intellettuale, mentre Lida, insoddisfatta e infelice, afferma che leggere tutti quei libri è stato inutile.
Insomma, La notte è un film molto raffinato. Antonioni, indugiando su un amore alla deriva, descriveva la noia che provava la borghesia negli anni del boom economico, tra ricerca di senso e costruzione di una nuova identità. Lo trovi su Rai Play. Maria Ianniciello